L'osservatorio di pietra di Bric Pinarella (Finale Ligure, SV)

(Mario Codebò, Henry de Santis, Giovanni L. Pesce)
 

Abstract

This paper reports the latest further discoveries on the stone observatory of Bric Pinarella (Finale Ligure, Savona, northern Italy), first described in 2006 at the conference of the Italian Society of Archaeoastronomy (CODEBÒ, DE SANTIS, PESCE 2011). The settlement is located near the upland plain of the Mànie, which is an area known for the archaeological remains and the natural attractions. The settlement is constituted of three archaeological evidences: a small building, two short standing stones 44 centimeters apart, and a standing stone vertically fitted in the ground with a natural hole in its free end. Archeoastronomical investigations demonstrated that the hole in the standing stone allows positioning of the sunrise at the equinoxes over the Mànie skyline, whereas the two standing stones allow tracing of the local meridian with azimuth 0°↔180°. Other possible astronomical functions such as the identification of the elongation of the Sun from the east cardinal point and the study of the Sun and Moon’s upper meridian transit (in this respect the site could be described as a rough meridian circle) are discussed in the paper. Despite the fact that, to date, its construction time is still unknown, the most recent findings show that the whole site could be an old astronomical observatory.

 

  • Introduzione

L’osservatorio in pietra di Bric Pinarella è un insediamento rurale collocato nell’immediato entroterra di Finale Ligure (SV), (coordinate N 44°11'58"; E 8°19'56", quota m 359 s.l.m.).

Il sito fu portato all’attenzione della comunità scientifica locale, durante gli anni 60 del XX secolo, dal Gruppo Ricerche dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, Sezione di Finale Ligure[1].

L’insediamento si compone di tre parti:

1. una piccola casella[2] diruta, a pianta quadrangolare, costruita in muratura a secco;

2. due corte pietre fitte, distanti tra loro 44 cm, prospicienti il muro meridionale della casella.

3. un pilastrino in pietra, posto a ca. 30 m dai ruderi della costruzione e dalle pietre fitte, riportante un foro naturale alla sua estremità più alta, artificialmente reso verticale e infisso in una fessura naturale della roccia di base.

 

  • Ambiente naturale e contesto archeologico

L’insediamento è localizzato in un’area che è parte di un antico penepiano calcareo miocenico dove gli agenti atmosferici hanno scavato tre valli fluviali: Pora, Aquila e Sciusa ed un intricato sistema di acque sotterranee che hanno plasmato oltre 400 grotte. Ricerche archeologiche effettuate nel passato hanno dimostrato la frequentazione umana di alcune di queste grotte fin dal paleolitico inferiore. Alcune di esse, situate a poca distanza dall’insediamento, sono:

1. la Grotta degli Zerbi, dove sono stati ritrovati manufatti litici e reperti faunistici attribuiti al Musteriano (FARINAZZO 1999);

2. il Riparo Fascette I utilizzato durante l’età del Rame come sepolcreto (MAGGI & PASTORINO 1984);

3. la Grotta 1 del Vacché anch’essa frequentata nell’età del Rame (ODETTI 1987a);

4. il riparo di Bric Reseghe, usato durante la fase dei Vasi a Bocca Quadrata del Neolitico medio (ODETTI 1987b);

5.  il Castellaro di Bric Reseghe, insediamento preistorico situato sull’omonima collina, databile all’età del Bronzo (DEL LUCCHESE 1987 e comunicazione personale dello stesso).

 

Grosse concentrazioni di petroglifi sono localizzate, poco lontano, presso il Ciappo de Cunche, il Ciappo dei Ceci (altrimenti conosciuto come Le Conchette; PRIULI & PUCCI 1994, pp. 35–43) ed il Monte Cucco (CODEBÒ 1996).

Sfortunatamente nessuno di questi petroglifi può essere datato con certezza poiché nell’areale non vi sono confronti di sicura attribuzione con le altre incisioni presenti (ISSEL 1908, pp. 467–484; GIUGGIOLA 1973; TIZZONI 1976; LEALE ANFOSSI 1976; AA.VV. 1982; ODETTI & RAVACCIA 1988; FELLA & ZENNARO 1991; PRIULI & PUCCI 1994, pp. 35–55; CODEBÒ 1996, 1999).

 

Alle estremità Nord e Sud della dorsale montuosa si trovano due chiese romaniche: S. Lorenzino e S. Cipriano. Quest'ultima è da porsi in relazione con l'insediamento medievale di Lacremà, attualmente abbandonato. Dopo accurati studi, la chiesa di San Cipriano rivelò un'abside paleocristiana (FRONDONI 1990) e fu probabilmente un’importante tappa lungo la via Julia Augusta, importante strada romana costruita dall'imperatore Augusto dal 13 a.C. per collegare Roma con la Gallia meridionale. Notevoli vestigia ancora visibili di questa via sono i cinque ponti nella val Ponci, ricostruiti ai tempi dell'imperatore Adriano, in ottime condizioni ancora oggi[3].

 

Da un punto di vista archeoastronomico, la stessa dorsale ospita alcune importanti evidenze come:

1) alcuni cruciformi incisi al Ciappo de Cunche (fig. 1) ed al Ciappo dei Ceci (fig. 2), orientati secondo i quattro punti cardinali (CODEBÒ 1997);

2) la Pietra di Marcello Dalbuono, che mostra due distinti orientamenti: verso il tramonto del Sole agli equinozi ed al solstizio estivo (CODEBÒ 1999);

3) Camporotondo[4], un’area pianeggiante, circondata da mura megalitiche, con tre angoli che ne interrompono il profilo circolare. Due di questi angoli sono rispettivamente orientati verso i punti cardinali Nord e Sud (CODEBÒ 1997).

 

Fig. 1 - Incisione cruciforme al Ciappo de Cunche (© M. Codebò)

Fig. 2 Incisione cruciforme al Ciappo dei Ceci (© M. Codebò)

 

  • Analisi dell’elevato

La costruzione diruta, che è il manufatto più grande dell’insediamento, può essere fatta rientrare nella tipologia costruttiva locale delle caselle. La costruzione, a pianta rettangolare, si sviluppa per ca. 10 m in lungh e 6 m in largh (fig. 3). I muri sono orientati come segue: Muro Est: 346°↔171°; Muro Ovest: 346°↔173°; Muro Nord: 243°↔61°; Muro Sud: 235°↔78°.

Fig. 3 - Pianta della casella di Bric Pinarella. I pallini neri vicino ai muri Sud ed Ovest indicano la posizione degli alberi che nel frattempo sono cresciuti nelle adiacenze. La sottile linea continua che parte dal muro Est ne suggerisce l’orientamento interno poiché i muri erano coperti da macerie al tempo del sopralluogo (© G. Pesce)

 

Lo spessore delle pareti Nord ed Est, misurato sulla parte alta, è di ca. 0,85 m, mentre la parete Sud è spessa ca. 1,10 m (non è stato possibile misurare lo spessore della parete Ovest a causa del gran volume di macerie che ne coprono la parte centrale). Lo spazio disponibile all'interno dell'edificio è di ca. 8 m di lunghezza e 4 m di larghezza.

In questi resti non sono attualmente visibili aperture come porte o finestre. Tuttavia, tre pietre allineate verticalmente nella parte interna della parete Sud suggeriscono l'esistenza di un'interruzione nella struttura del muro (fig. 4) che potrebbe essere correlata ad un'apertura (come una porta) o ad un angolo di una precedente impostazione della costruzione (che, nel caso, avrebbe potuto avere almeno due fasi di edificazione).

 

Fig. 4 - Schizzo dell'elevato che rappresenta l'interruzione del tessuto murario nella parete Sud che potrebbe essere correlato ad un'apertura (come una porta) o ad un angolo di una precedente struttura dell'edificio (© G. Pesce)

 

Le pareti sono conservate fino a 2 m dal suolo e sono composte di pietre di varie dimensioni, reperite localmente, posate senza malta ed utilizzate senza una specifica preparazione (fig. 5). I lati interni dei muri sono allineati irregolarmente e caratterizzati da un alto numero di vuoti. Le pietre d’angolo sono generalmente più grandi delle altre. Nel complesso, la tecnica di costruzione può essere descritta come inaccurata ed attribuita a costruttori non specializzati.

 

Fig. 5 - Muro Est della casella costruito senza l’uso di malta (© H. De Santis)

 

Lo spazio a Sud, all'esterno della casella, è occupato da due muri di ca. 65 cm di spessore, costruiti quasi perpendicolarmente alla parete Sud della struttura principale. Tutte insieme queste pareti circondano un'area di 1,85 x 2,40 m, adiacente al compartimento principale dell'edificio, ma inaccessibile da esso. L'unico accesso a questo piccolo spazio era probabilmente situato nel lato Sud, attualmente parzialmente distrutto. Gli unici resti esistenti su questo lato della costruzione sono due corte pietre-fitte, distanti tra loro 0,44 m, autonome dalle restanti pareti (fig. 6).

Fig. 6 - Le due pietre-fitte poste vicino al muro meridionale della casella di pietra di fig. 3. (© H. De Santis).

 

Lo spazio tra le due pietre è troppo piccolo per essere attraversato da un uomo adulto di corporatura media. Tuttavia, non si può escludere che il piccolo compartimento esterno fosse funzionale alle attività che si svolgevano nell’adiacente struttura principale.

 

  • Area circostante

Con l'obiettivo di datare l’edificio, l'interno del compartimento principale vicino al muro Est (che si presumeva, per posizione e status quo essere il più fruttuoso) fu archeologicamente investigato da Angiolo Del Lucchese (allora Archeologo Direttore della Soprintendenza Archeologia della Liguria), unitamente alla ditta di scavi archeologici “G. Viarengo”. Sfortunatamente il sondaggio, al quale erano presenti anche Codebò e de Santis, non ha restituito materiali di origine antropica, cosicché, ad oggi, non sono disponibili informazioni sull'uso e sulla cronologia costruttiva della struttura[v][5].

Le difficoltà nello studio del contesto archeologico dell'intera area del Finalese sono molto comuni. Ciò è dovuto alla natura carsica del suolo ed all'azione erosiva della pioggia che, ad eccezione delle grotte, lava via facilmente il terreno mescolandolo e, con esso, le evidenze archeologiche e geologiche ospitate. Un esempio di questo effetto è stato testimoniato nello scavo archeologico del sito di S. Antonino di Perti, eseguito dal prof. Giovanni Murialdo e datato alla tarda antichità[vi][6]. In questo sito sono state trovate evidenze archeologiche musteriane (Paleolitico medio) in commistione con materiali dell'età del Bronzo e di età Bizantina, in un unico strato di pochi centimetri di spessore[vii][7].

A ca. 30 m a Sud-Est della casella si trova un grande affioramento roccioso, con una larga frattura ortogonale profonda alcuni centimetri, posto sul bordo di un ripido pendio rivolto ad Est, prospiciente l’altopiano delle Mànie. All’interno della frattura è stato inzeppato artificialmente un pilastrino di pietra riportante un foro nella sua estremità superiore (fig. 7). Secondo Giuseppe Vicino, che ha visitato diverse volte il sito, sia la fessura, sia il pilastrino ed il relativo foro, sono di origine naturale, così plasmati a causa della composizione chimica e geologica della Pietra del Finale. Il geologo Davide Gori, dopo aver visionato alcune fotografie dell'affioramento, ha concordato relativamente all’origine naturale della forma assunta dalle pietre.

Fig. 7 - Il pilastrino artificialmente infisso nella fessura naturale della roccia. L’insieme dista ca. 30 m dalla casella di fig. 3 (© H. De Santis).

 

Tuttavia l’incastro del pilastrino nella fessura e l’orientamento del piccolo foro non possono essere considerati né casuali né naturali a causa di frammenti di pietra, utilizzati per inzeppare la pietra-fitta all’interno della frattura; il che ne suggerisce un’origine antropica.

 

  • Funzioni Astronomiche

La prima persona che ipotizzò che il pilastrino sottendesse un allineamento astronomico fu Pino Piccardo, membro del Gruppo Amici del Museo Archeologico del Finale[viii][8]. Piccardo scoprì che il foro sommitale della pietra-fitta traguardava il sorgere del Sole agli equinozi.

Per confermare tale ipotesi e verificare ulteriori funzioni astronomiche del manufatto, Mario Codebò compì una campagna di osservazioni astronomiche dal 21 al 23 marzo 2003, i cui risultati furono due:

1)      le due pietre-fitte davanti alla casella di pietre a secco sono allineate secondo l’asse N–S e mostrano, sulla loro verticale, il transito di un astro qualsiasi sul meridiano del luogo;

2)      il pilastrino–mira mostra, attraverso il foro, il punto in cui il Sole sorge agli equinozi sul profilo dell’orizzonte dell’altopiano delle Mànie. Benché l’ampiezza angolare del foro, presa accostandogli una bussola prismatica Wilkie, sia pari ad un arco compreso tra 74° e 93° (fig. 8), da una distanza lievemente superiore consente di scorgere la levata del Sole come un punto di luce, unicamente agli equinozi, con un significativo effetto scenografico (fig. 9).

Fig. 8. - L’alba del 23 marzo 2003 fotografata accostando l’obiettivo fotografico al foro della pietra-fitta (© M. Codebò)

 

Fig. 9 - Il punto di luce creato dal Sole all’alba equinoziale qualora si osservi attraverso il foro a breve distanza dalla pietra-fitta (© S. Pelazza)

 

Allo stato attuale delle ricerche, le funzioni astronomiche attribuibili al sito possono così riepilogarsi:

1.      il foro della pietra infissa consente di traguardare la levata del Sole agli equinozi sull’orizzonte dell’altopiano delle Mànie;

2.      la completa visibilità, per tutto l'anno, dell’amplitudine ortiva[ix][9], da solstizio d'inverno a solstizio d'estate, della levata del Sole sull'orizzonte delle Mànie rispetto al punto cardinale Est individuato dal foro;

3.      le due pietre fitte di fronte al muro Sud della casella consentono di determinare:

a.       il transito giornaliero del Sole al meridiano superiore e, conseguentemente, il mezzogiorno vero locale (fig. 10);

 

Fig. 10 - L’ombra creatasi al mezzodì vero locale posizionando uno gnomone a metà distanza tra le due pietre fitte rappresentate in fig. 6. Al momento dello scatto erano le 12:33:22 del 23 marzo 2003 con costante locale: 12:26:40 ed equazione del tempo vero: +00:06:42, da Effemeridi Nautiche I.I.M. 2003 (© M. Codebò).

 

 

b.      le differenti altezze del Sole durante il transito al meridiano superiore a seconda della stagione. Il rapporto tra altezza diurna al transito in meridiano e amplitudine dei punti di levata mostra l’ampiezza dell’arco diurno del Sole: minima al solstizio d’inverno (con altezza meridiana minima e punto di levata più meridionale); massima al solstizio estivo (con altezza meridiana massima e punto di levata più settentrionale); intermedia agli equinozi. In linea teorica, sarebbe stato quindi possibile misurare anche l’obliquità dell’eclittica qualora fossero stati disponibili strumenti di misura zenitali;

c.       il transito della Luna al meridiano superiore;

d.      il ritardo giornaliero di ca. 50 minuti, rispetto a qualsiasi astro, del passaggio della Luna in meridiano;

e.       la variazione stagionale del ritardo giornaliero della Luna;

f.       la differenza tra il mese sidereo (pari 27.32 giorni) ed il mese sinodico (pari a 29.5 giorni).

 

  • Conclusioni

Il sito posto sul Bric Pinarella, collocato in un’areale (il Finalese) popolato fin dal Paleolitico inferiore e ricchissimo di testimonianze archeologiche, risulta quindi essere un vero e proprio osservatorio, sia pure rudimentale, che permette la determinazione simultanea delle principali effemeridi astronomiche quotidiane locali. Resta da stabilire la data in cui fu costruito ed utilizzato e per questo ci riserviamo di effettuare nuove ricerche.

 

Ringraziamenti

Gli autori ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla presente ricerca, ed in particolare: Davide Gori, Angiolo Del Lucchese, Tiziano Mannoni, Giovanni Murialdo, Pino Piccardo, Giorgio Viarengo, Giuseppe Vicino. Si ringrazia inoltre Sara Pelazza per aver consentito la pubblicazione della propria immagine.

 

Bibliografia

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CODEBÒ M. 1996, Segnalazioni inedite sul Monte Cucco nel Finalese, in “Bollettino del Centro Camuno di Studi Preistorici”, 29, Edizioni del Centro, Brescia, pp. 138–141.

CODEBÒ M. 1997, Prime indagini archeoastronomiche in Liguria, in “Memorie S.A.It.”, 68(3), Firenze, pp. 735-751.

CODEBÒ M. 1999, Archaeoastronomical hypotheses on some Ligurian engravings, in I.F.R.A.O. Proceedings of the World Congress of Rock Art News95, Ce.S.M.A.P., Pinerolo (TO), CD–Rom.

CODEBÒ M., DE SANTIS H., PESCE G. 2011, L'osservatorio in pietra di Bric Pianarella (SV), in Astronomia culturale in Italia, Società Italiana di Archeoastronomia, Milano, pp. 177–185.

DEL LUCCHESE A. 1987, Bric Reseghe. in “Archeologia in Liguria III.1: Scavi e Scoperte 1982–1986”, Tormena, Genova, pp. 133–135.

FARINAZZO R. 1999, Scavi archeologici all’Arma degli Zerbi, in “Stalattiti e Stalagmiti”, 25, G.S. Savonese, pp. 64-65.

FELLA M., ZENNARO D. 1991, Petroglifi inediti al Riparo dei Buoi, in Atti del Convegno sul M. Bégo, Tenda, pp. 247–248.

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GIUGGIOLA O. 1973, Le incisioni schematiche dell'Arma della Moretta, in RivStLig, XXXIX, IISL, Bordighera, pp. 111–167.

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LEALE ANFOSSI M. 1976, Il Ciappo del Sale, in Mondo Archeologico, 9, Firenze, pp. 18–27.

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ODETTI G. 1987a, Grotta I del Vacché, in “Archeologia in Liguria III.1: Scavi e Scoperte 1982–1986”, Tormena, Genova, pp. 129–131.

ODETTI G. 1987b, Riparo del Bric Reseghe, in “Archeologia in Liguria III.1: Scavi e Scoperte 1982–1986”, Tormena, Genova, p. 132.

ODETTI G., RAVACCIA C. 1988, Aggiornamento sulle incisioni del Finale, in Atti del II Convegno sulle Incisioni Rupestri in Liguria, Millesimo (SV), pp. 13–15.

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TIZZONI M. 1976, Incisioni all'aperto nel Finalese, in BCamunoStPr, 13–14, Capo di Ponte (BS), pp. 84–102.

 

 



[i][1] Comunicazione personale di Giuseppe Vicino, conservatore emerito del Museo Archeologico del Finale.

[ii][2] Le caselle sono piccole costruzioni in pietra a secco per alloggio e rifugio temporaneo.

[iii][3] Uno di essi, detto Ponte delle Fate, è tutt’oggi utilizzato per il transito delle automobili locali.

[iv][4] In dialetto locale: Campuriundu.

[v][5] Tuttavia è probabile che sondaggi in altri punti attorno alla casella possano dare risultati positivi, perché suscettibili di un maggiore spessore del deposito.

[vi][6] L’insediamento, chiaramente fortificato, faceva probabilmente parte del limes bizantino.

[vii][7] Comunicazione personale G. Murialdo.

[viii][8] Comunicazioni personali.

[ix][9] L’amplitudine ortiva di un astro è l’arco di orizzonte,  ≤ 90°, compreso tra il punto cardinale Est ed il punto del sorgere dell’astro (FLORA 1987, p. 34).