La Cappella-Museo Sansevero di Raimondo di Sangro

 
(Marisa Uberti)
 

Due passi nei misteri di Napoli

 

Qui non vident, videant

 

I nostri “due passi” a Napoli si sono mossi da uno dei monumenti cui tenevamo da tempo di documentare: la Cappella-Mausoleo Sansevero, in via Francesco de Sanctis, in pieno centro storico. Poco distante è situato l’importantissimo complesso di San Domenico Maggiore e l'ex- Palazzo di famiglia dei de Sangro. Siamo arrivati in loco ben prima che aprisse, onde evitare le temute code di cui alcuni amici ci avevano avvisato; la Cappella (divenuta un Museo) è infatti tra le mete più ambite dai turisti ma anche dagli studiosi e nonostante il non basso costo del biglietto, è molto gettonata. Perché tutto questo interesse, considerato che in fondo non è un edificio esteticamente straordinario, dall’esterno?

Sono principalmente tre le ragioni di tanto richiamo: 1) il suo committente, Raimondo di Sangro (principe di San Severo), che qui ebbe sepoltura; 2) il percorso iniziatico scandito dalla geometria interna e dalla collocazione delle statue (tra cui primeggia il Cristo Velato); 3) il mistero delle “macchine anatomiche” conservate nella cavea sotterranea. Purtroppo abbiamo avuto la sgradevole sorpresa di non potere fotografare alcunché all’interno della Cappella-Museo; francamente non ne comprendiamo la logica, dato che comunque il web, così come molte riviste o libri, sono pieni di immagini (come fanno alcuni ad averle e a diffonderle?), ma rispettiamo le regole vigenti. Bisogna considerare, però, che un visitatore non arriva da Bergamo a Napoli per visitare solo la Cappella Sansevero; i nostri report dimostrano quante e quali cose abbiamo visto ai Campi Flegrei e a Napoli stessa, che ricordarle soltanto mnemonicamente sarebbe impossibile. Per uno studioso è necessario disporre di foto proprie e materiale documentale che, a freddo, quando tornerà a casa, rivedrà con calma nei dettagli e potrà scriverne.

Tanto più che nel lontano 2003 ci eravamo occupati della figura di Raimondo di Sangro (1710-1771): gli avevamo dedicato un sintetico ma stimolante articolo, in attesa di potere finalmente vedere sia la Cappella che le celebri statue, e le “macchine anatomiche”. Già allora ci eravamo fatti un'idea della ponderosa figura del principe di Sansevero, leggendo articoli e libri e rimanendo estremamente affascinati dalla sua attività poliedrica di abile sperimentatore, alchimista, massone, erudito e mecenate della cultura scientifica del suo tempo.  Nel corso degli anni avevamo ricevuto pareri contrastanti sul personaggio, dai nostri utenti, e appunto era importante per noi visitare la sua grande opera iniziatica, la Cappella-Mausoleo di Napoli e suggeriamo di andare a visitarla perché veramente si resta senza fiato. La Cappella va "letta" a differenti livelli:

  • seppure sconsacrata, rappresenta un luogo religioso (ex chiesa e ancora sepolcreto)
  •  è una memoria storica (memoriale della famiglia Di Sangro)
  •  è un polo artistico-culturale (è un raffinato museo)
  • è una dimora filosofale

Il primo impatto è stato stranissimo: come se un abbraccio algido ci avvolgesse. Sentivamo, da parte nostra, il desiderio di stare lì da soli, senza nessuno, per fare conoscenza con l’insieme e con ciascun particolare, dopo averne tanto letto. Purtroppo l'affollamento di visitatori  (dopo il primo quarto d’ora dall’apertura, in cui si stava bene), non ci ha consentito una adeguata concentrazione sul significato delle singole statue presenti, che la narrazione dell’audioguida indicava di volta in volta. E’ stata però una visita di notevole importanza al fine di contestualizzare l'opera nello spazio, nel tempo, nella mentalità desangriana. Del resto anche noi eravamo visitatori senza permessi speciali, non potevamo aspettarci niente di diverso. Siamo contenti comunque di essere entrati in questo “tempio sacro”, è stato importante trovare alcune conferme ed esserci fatti una nostra opinione sull’insieme. Dato che ci siamo trovati nella non disprezzabile occasione di essere qui, ne abbiamo approfittato per scrutare meglio l’esterno (almeno quello è possibile fotografarlo) fin dal nostro arrivo, ancora a porte chiuse, nonché spingerci all’ingresso di quello che fu il Palazzo dei di Sangro, principi di Sansevero e conti di Torremaggiore, dove una targa apposta dal Comune di Napoli il 30 Gennaio 2010, in occasione del trecentenario della nascita del principe Raimondo, informa che:

 

“In questo Palazzo

visse operò morì

Raimondo di Sangro VII principe di San Severo (1710-1771)

Letterato mecenate inventore

nella Napoli dei primi Lumi

Ingegno straordinario

celebre indagatore dei più reconditi misteri

della Natura”

 

Concordiamo: il personaggio fu veramente interessantissimo e ancora lo è, a distanza di 250 anni dalla sua scomparsa. Nel sito ufficiale della Cappella-Museo si possono trovare alcune delle sue straordinarie sperimentazioni, nonché alcune sue opere letterarie e scientifiche. I suoi laboratori si trovavano nei sotterranei del suo palazzo. Chissà cos’è rimasto? Oggi la dimora è destinata ad altri usi. Tutta l’area che va dal Palazzo al Mausoleo era proprietà dei Sansevero. La Cappella occupa un’area d’angolo tra le attuali vie Raimondo di Sangro (parte laterale dell’edificio) e Via Francesco de Sanctis (facciata). Prima di diventare un mausoleo di alcuni membri della principesca casata, l’edificio fu una chiesa intitolata a S. Maria della Pietà (popolarmente nota come Pietatella), sulle cui origini vi sono versioni contrastanti.

Il frontone del Palazzo di Sangro (XVI secolo) a Napoli riporta ancora il bellissimo stemma araldico, da cui pende il Collare dell' Ordine del Vello d'Oro. L'arma era d'oro a tre bande azzurre; il motto, comune a tutte le linee della casata sia principali che secondarie era Unicum militiae fulmen

Trovandosi nel cuore di Napoli, è lecito pensare che qui anticamente dovessero trovarsi edifici romani e una leggenda vorrebbe che il tempio insista su un arcaico sacello dedicato alla dea Iside, ma la storia più recente ci porta alla fine del 1500 e l’ha tramandata Cesare d’Engenio Caracciolo nella sua opera Napoli Sacra (1623). E’ proprio nel tratto tra il Palazzo e la Cappella che sarebbe avvenuto un fatto prodigioso, che ebbe come protagonista un uomo erroneamente condannato ad essere imprigionato. Mentre veniva trascinato in carcere in catene, vide crollare una parte del muro che recingeva il giardino del Palazzo dei di Sangro e apparve l’immagine dipinta di una Madonna che tiene un Cristo morto (Pietà).

L’uomo fece un voto: se fosse stata fatta giustizia e fosse stata riconosciuta la propria innocenza, avrebbe donato alla Madonna una lampada d’argento e un’iscrizione. Qualche tempo dopo il voto fu esaudito ed egli mantenne fede alla promessa: l’uomo pose una lapide e una lampada a corredo del dipinto, che iniziò ad essere meta di pellegrinaggio, in quanto dispensatore di molte grazie. Le virtù della sacra icona giunsero all’attenzione dell’allora duca di Torremaggiore Giovan Francesco di Sangro che, ammalatosi gravemente, ad essa si rivolse per ottenere la guarigione. Ottenutala, decise di ringraziare adeguatamente la Madonna facendo erigere, nel punto della prima apparizione, una piccola cappella (1593), che inglobasse e proteggesse il dipinto. Tale cappellina fu intitolata a S. Maria della Pietà, popolarmente nota come Pietatella, come già accennato.

Pochi anni dopo il piccolo sacello fu ingrandito e trasformato in una chiesa-mausoleo dal figlio di Giovan Francesco, Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria. Da quel momento l’edificio divenne tempio votivo e sepolcro per sé e i suoi successori. I nobili di Sangro potevano accedere alla chiesa attraverso un ponticello coperto che la collegava al loro palazzo (di fatto la Cappella si trovava nel loro giardino).  Il miracoloso dipinto della Vergine con il Cristo morto (Pietà) venne mantenuto all'interno della nuova chiesa. Avviciniamoci al portale d'ingresso e leggiamo l’epigrafe collocata sull’architrave dell’attuale Cappella; essa recita, in latino:

“Alexander De Sangro Patriarcha Alexandriae
Templvm Hoc A Fundamentis Extrvctvm Beatae Virgini
Sibi Ac Svis Sepvlcrvm Anno Domini MDCXIII”

(“Alessandro di Sangro patriarca di Alessandria destinò questo tempio, innalzato dalle fondamenta alla Beata Vergine, a sepolcro per sé e per i suoi nell’anno del Signore 1613”).

Fin dalla sua realizzazione, il mausoleo destò meraviglia per la sua bellezza, che venne descritta dalle guide del tempo come ricca di opere d’arte, decorazioni e marmi pregiati.

Il sepolcro di Alessandro di Sangro è collocato in una nicchia a sinistra dell’altare maggiore ed è opera di autore rimasto anonimo. La sacra immagine della Pietà che diede avvio a tutto si trova ancora oggi all’interno dell’edificio, al di sopra della statua della Deposizione e dell’altare maggiore: è attualmente racchiusa in una cornice di angeli in stucco, opera di Paolo Persico (1790). Tale posizione fu voluta da Raimondo di Sangro. Ma a quando risale il miracoloso dipinto? Datazione e autore sono rimasti ignoti, tuttavia i critici lo ritengono un lavoro manierista napoletano eseguito prima del 1590 (epoca del presunto prodigio); il suo valore risiede soprattutto nel suo significato per questa Cappella. Esisterebbe anche un’altra versione, in cui cambiano i protagonisti, la vicenda, ma non la data, che resta quella del 1590. Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre di quell’anno, sarebbe avvenuto un fatto delittuoso: la morte di Maria D’Avalos e del suo amante Fabrizio Carafa per mano del consorte di lei, Carlo Gesualdo da Venosa. Sarebbe stata la madre di Fabrizio, Adriana Carafa della Spina, moglie di Giovan Francesco di Sangro e prima principessa di Sansevero, a fare edificare la Cappella, intendendo fare voto alla Madonna per la salvezza dell’anima del figlio…

La vicenda è realmente avvenuta e proprio nel cinquecentesco Palazzo, a quel tempo di proprietà della famiglia Gesualdo (poi acquistato dai De Sangro di Sansevero). L'uxoricidio scosse l'intero quartiere e a lungo rimase scolpito nelle memorie, anche perchè i cadaveri nudi e insanguinati dei due sventurati amanti furono esposti all'ingresso dell'edificio. Il palazzo e chi vi abitava furono maledetti fino alla settima generazione...Da allora nacque la leggenda del fantasma di Maria, condannato al dolore eterno: ogni notte, nei bui vicoletti fino alla piazza di San Domenico Maggiore, si aggirerebbe in vesti succinte alla ricerca del suo amante. C'è che dice di averne sentito il grido agghiacciante e chi un soffocato lamento. Quando il palazzo passò a Raimondo, egli volle cancellare quel tragico avvenimento e lo fece restaurare totalmente. Creò il collegamento con la Cappella e vi fece apporre un orologio a forma di drago.

Spostiamoci ora sul lato sinistro della Cappella Sansevero, dove troviamo un altro ingresso: ai lati due teschi coronati posti tra grandi ali; superiormente a questi si trovano due tibie incrociate tra nastri o festoni e, centralmente, una grande lapide che il principe Raimondo di Sangro fece apporre al termine della sua grandiosa opera di trasformazione della Cappella in un tempio iniziatico, che doveva celebrare la gloria della propria casata ma anche un cammino di redenzione. L’iscrizione latina, tradotta recita così: “Chiunque tu sia, o viandante, cittadino, provinciale o straniero, entra e devotamente rendi omaggio alla prodigiosa antica opera: il tempio gentilizio consacrato da tempo alla Vergine e maestosamente amplificato dall’ardente principe di Sansevero don Raimondo di Sangro per la gloria degli avi e per conservare all’immortalità le sue ceneri e quelle dei suoi nell’anno 1767. Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei defunti, e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati”.

 

Ecco, forse in questa frase troviamo la giustificazione a non avere potuto scattare fotografie. Tutto ciò che si osserva, si contempla, deve restare dentro. Ciascuno recependolo a modo proprio, con il proprio livello di Coscienza o di Conoscenza. Perché vi si rifletta e poi, allontanarsi, con rispetto, senza disturbare, ma sentendosi cambiati nella dimensione percettiva, perché è impossibile visitare questo luogo e uscirne uguali a prima. Raimondo di Sangro adoperò la fraseopera divina” e forse si rivolgeva alla sua stessa capacità creativa, frutto dei suoi studi alchemici. L’eclettico e sapiente mecenate chiamò artisti di respiro internazionale per realizzare la grande trasformazione architettonica e simbolica che aveva in mente; profuse denaro personale e si indebitò per portare a termine il suo obiettivo (i debiti sarebbero poi stati appianati grazie alla dote incamerata con il matrimonio del figlio Vincenzo con Gaetana Mirelli di Teora, avvenuto nel 1765).

Sovrintese personalmente alle fasi di lavorazione, scegliendo e talvolta realizzando i materiali più innovativi. Come un particolare mastice di sua invenzione, che corre lungo il perimetro interno della Cappella, sopra gli archi, o i colori usati per gli affreschi della splendida volta ("Gloria dello Spirito Santo"), eseguiti da Francesco Maria Russo nel 1749 e che da allora non hanno mai necessitato di restauro: quei colori ancora vivi com'erano stati ottenuti? Pare con una tecnica ideata dallo stesso Raimondo, impiegando una mistura di bile, vescica, urina ed interiora di animali. Tali colori, detti oloidrici, furono usati anche per dipingere il suo autoritratto, posto in un ovale sopra la sua tomba (olio su rame).

Sulla lapide sepolcrale del principe vi è anche un altro enigma insoluto: la tecnica con cui fu realizzata l’epigrafe celebrativa. La tomba si trova in una nicchia che il visitatore incontra all’ingresso del passaggio che porta alla Cavea sotterranea e alla sacrestia (passetto); risale al 1759, quando il principe era ancora vivo. Si ritiene che sia stato egli stesso a progettarla, dando l’incarico dell’esecuzione a Francesco Maria Russo. Si compone di una monumentale lapide in marmo rosa, sormontata dal citato ritratto di Raimondo entro una cornice ovale di marmo; al di sopra vi è un grande arco decorato con armi, libri, strumenti scientifici, pergamene, squadre, mappamondi e altri emblemi glorificanti il personaggio. Dall’estremità destra dell’arco pende la collana da Cavaliere dell’Ordine di San Gennaro, che il principe ricevette nel 1740. Sulla lapide è riportato un lungo elogio funebre in cui il principe annoverò la discendenza del suo casato da Carlo Magno, i suoi titoli nobiliari, le onorificenze ricevute, le sue perspicaci doti scientifiche, la sua eccezionale dote di sperimentatore e il suo ruolo di committente e ideatore della Cappella.

L’intera epigrafe (di cui si mostrano poche frasi) fu formalmente composta dall’abate della Cappella ma fu dettata evidentemente dal principe medesimo; essa non risulta incisa ma appare in rilievo, come in rilievo è anche la decorazione con grappoli d'uva e motivi vegetali sul perimetro della lapide

 

La finezza della decorazione rende evidente che non può essere stato impiegato alcun tipo di scalpello, poiché sarebbe stato impossibile ridurre il marmo a tanta sottigliezza. Di questa particolarità della Tomba parlano pressoché tutti i viaggiatori e le guide sin dal XVIII sec." (tomba di Raimondo di Sangro nel sito ufficiale della Cappella). Importante per il visitatore un altro dettaglio da osservare: a terra si trova una porzione superstite del motivo labirintico che un tempo pavimentava l'intera Cappella.

Dell’edificio seicentesco fu mantenuto poco, come qualche frammento di affresco dell’abside, tuttavia venne conservata la pianta longitudinale ad unica navata. Sui due lati il principe Raimondo fece aprire degli archi per mantenere le tombe degli avi illustri (quattro sepolcri) mentre alle donne della famiglia (che non sono sepolte qui) dedicò dei magnifici gruppi scultorei, addossati ai pilastri che dividono gli archi. Le statue rappresentano le simboliche Virtù e segnano le tappe di un cammino iniziatico mirante alla conoscenza e al perfezionamento interiore. Soltanto una, il Disinganno, fu dedicata alla memoria di un uomo, il padre di Raimondo, Antonio di Sangro. Opera di elevatissima perizia e simbologia illuminata.

Il progetto esoterico della nuova Cappella si completava con un fantastico pavimento riproducente un motivo labirintico in cui il principe aveva inserito un’altra delle sue geniali  invenzioni: l’opera era costituita infatti da tarsie marmoree policrome all’interno delle quali si incastrava una linea di marmo bianco continua, senza giunture. Un prodigio la cui esecuzione lo stesso Raimondo definì, nel proprio testamento, “difficile e intralciata”, tanto da non risultare finita alla sua morte. Tuttavia il pavimento, realizzato da Francesco Celebrano intorno al 1765, fu compiutamente terminato ma oggi non lo troviamo più sotto i nostri piedi, mentre camminiamo nella navata: al suo posto c’è un bel pavimento in cotto napoletano, smaltato in giallo e azzurro in corrispondenza dello stemma della famiglia di Sangro. Dov’è finito il labirinto? Purtroppo fu distrutto da un crollo avvenuto nel 1889, che coinvolse sia il palazzo che la Cappella. Pare che a crollare sia stato il ponticello di passaggio, quella sorta di cavalcavia che collegava il palazzo al mausoleo. Ne restano alcuni frammenti inseriti nel passetto antistante la tomba del principe Raimondo; altre lastre sono esposte nella Cavea sotterranea e in Sacrestia (attuale book-shop).

Da esse si evince che il disegno generale riproducesse svastiche in linea continua alternate a quadrati concentrici posti in prospettiva; tra gli spazi spiccavano tarsie policrome (sfumate nei colori dal blu al bianco) che conferivano profondità alla composizione. Ai bordi, lungo la navata, doveva esservi una intricata fascia marmorea più scura. L’effetto e il significato finale dell’intera e complessa trasformazione voluta da Raimondo di Sangro fu sicuramente profondo e ineguagliabile. Nulla fu lasciato al caso, nel suo progetto dal sapore massonico e iniziatico. Quando il principe morì, lasciando al figlio Vincenzo alcune volontà da esaudire in merito alla Cappella, queste non vennero tutte espletate, anzi nel sito ufficiale del Museo è chiaramente scritto che non portò a termine i lavori rimasti incompiuti, forse per ristrettezze economiche (v. link risorsa). Eppure Vincenzo fu erede universale dei beni paterni...

La Cavea sotterranea, nelle intenzioni del committente, doveva essere una sorta di “caveau” ovale scavato nella roccia e illuminato da una piccola apertura superiore. Qui sarebbero state accolte le tombe dei suoi successori e al centro doveva essere collocata la meravigliosa statua del Cristo Velato del Sanmartino (come attesta una lastra sul pavimento dell’odierna cavea, del tutto diversa dal progetto originario). Alcune lampade perpetue di invenzione del principe stesso dovevano essere disposte intorno all'opera scultorea. Non sappiamo se il Cristo velato sia mai stato portato in questo locale (appare improbabile) ma, come già detto inizialmente, in questo ambiente sono invece ospitate le “Macchine Anatomiche”, in due differenti teche, con relativa descrizione. Si tratta di due reperti (maschile e femminile) davvero enigmatici e non privi di meritata attenzione, anzi per certi aspetti sono palesemente inquietanti. Il macabro “scheletro” femminile era corredato dai resti di un feto, fino a pochi decenni fa, poi trafugato. Le due “macchine” si trovavano in origine nell’ Appartamento della Fenice nel palazzo del principe Raimondo ed erano oggetto di studio per lui, che vi aveva lavorato parecchio, insieme al medico palermitano Giuseppe Salerno (nel tempo sono nate leggende nere, fantasie, inesattezze); furono spostate nella Cavea della Cappella molto tempo dopo la morte del nobile illuminato. L’elemento di eccezionale interesse è la fitta rete di arterie e vene che ricopre gli scheletri; una rete che corrisponde al vero fin nei vasi più sottili. Studi recenti hanno stabilito che si tratta di una riproduzione accuratissima del sistema artero-venoso dei due individui, realizzata con diversi materiali tra cui cera d’api e coloranti, cosa che dimostra le conoscenze particolarmente avanzate per l’epoca e fa ritenere che per poter ottenere simili risultati, fossero stati precedentemente condotti esperimenti iniettivi (impiegando una ignota sostanza che determinasse la conservazione del sistema sanguigno).

Il luogo in cui il geniale Raimondo condusse i proprio esperimenti fu il suo Palazzo, a pochi passi dalla Cappella e ad essa indissolubilmente legato. Sono luoghi particolari ancora oggi, sapete? Basta aggirarsi lì intorno, di mattina presto, per saperlo. Davanti al Palazzo Sansevero ci è sembrato di tornare al tempo in cui egli qui viveva, si spostava, lavorava. Dagli scantinati provenivano rumori e inspiegabili bagliori di giorno e soprattutto di notte, tali da accendere la fervida fantasia popolare, specialmente in coloro che abitavano nei vicoli. Gli ignoranti lo consideravano uno stregone, un negromante, che deteneva cadaveri e fabbricava mostruosità; di conseguenza il palazzo era per forza infestato da spiriti e fantasmi! Si pensi che la versione televisiva dell'opera tetrale Quei fantasmi del grande Eduardo de Filippo, fu ambientata proprio a Palazzo Sansevero! Nei sotterranei del Palazzo, im principe aveva installato anche una stamperia dalla quale uscirono numerosi testi suoi ma anche di altri autori; tali volumi furono spesso pubblicati anonimamente per non incappare nella censura ecclesiastica che, peraltro, colpì spesso il settimo principe di Sansevero. Ma c'era un intreccio segretissimo negli ambienti frequentati dal nobile Raimondo, un intreccio radicato nelle fila della Massoneria, di cui egli era un esponente di primo piano (Gran Maestro di tutte le Logge napoletane): a cosa portava questo intreccio? Alcuni studiosi hanno cercato e cercano ancora oggi di delinearne i contorni (es. v. link). Sembra ormai certa la sua appartenenza ad una super-Loggia di impronta Rosacrociana chiamata Rosa d'Ordine Magno (in cui è ravvisabile l'anagramma del nome Raimondo de Sangro), che era una sorta di sovra-Loggia coperta, cui appartenevano una trentina di adepti tra i più vicini al principe. A Napoli, in quel periodo, esistevano perlomeno quattro logge (la De Sangro, con oltre 280 membri, la Moncada, la Carafa, la Tschoudy), fondate precocemente rispetto al resto d'Italia (nazione che peraltro non esisteva ancora come tale). Ma non seminiamo oltre perchè non è questa la sede.

La Cappella non è rimasta immune da leggende metropolitane. Scrive Alberto Ferrero: "Si racconta in particolare che, nelle notti di Natale e Pasqua, la cappella si animi per incanto illuminata da una strana luce, che nei vicoli circostanti si diffonda inconfondibile un forte odore di incenso, mentre note di organo provenienti dall’interno della cappella sembrano udirsi chiaramente.C’è chi afferma di aver sentito passi di stivali, muniti di speroni, muoversi da una scalinata ripida e stretta dietro alla sagrestia della cappella, passi lenti e cadenzati che si avvicinerebbero a poco a poco per poi allontanarsi e disperdersi. Molte anche le persone che affermano di aver sentito il tintinnio della carrozza del principe nelle notti di luna piena. Lo scalpitio dei suoi cavalli si arresterebbe soltanto dinnanzi all’enorme portone del palazzo, sua ultima dimora" (Storia e Misteri di Palazzo Sansevero a Napoli).

A parte tutto il folclore sviluppatosi attorno al principe Raimondo di Sangro e al suo palazzo, la sua figura di scienziato è stata oggi completamente riabilitata e opportunamente rivalutata; gli eruditi già ai suoi tempi ne seppero apprezzare le incredibili scoperte, che ebbero vasta eco presso i più insigni luminari.  La Cappella è considerata uno dei più importanti musei di Napoli. E soltanto adesso ci ricordiamo che avremmo dovuto parlare della nostra visita all'interno dell'edificio ma le parole sarebbero sprecate, abbiamo annoiato anche troppo il lettore! Il fatto è che, appena varcata la soglia, siamo piombati in un'atmosfera inaspettata e immaginifica. Ci sentivamo attirati dall'astuto Cecco, che sembra volere correre incontro a qualcuno, con quella gamba a cavallo della sua cassa, sopra la porta d'ingresso come un sorvegliante...Ricordiamo di avere vissuto estaticamente l'esperienza e possiamo trasporla balbettando, frammentariamente. Ecco Giovan Francesco, primo principe di Sansevero e fondatore del nucleo originale della cappella...se ne sta lassù sopra la porta, nella seconda cappella a sinistra...Quasi di fronte Paolo, secondo principe della casata, nella prima cappella a destra, agghindato come un centurione romano, e di nuovo guardiamo rapiti a sinistra, dov' è sepolto il terzo principe di Sansevero che si chiamava come il primo, Giovanni Francesco, e vicino ancora un altro Paolo, quarto nella successione principesca mentre il quinto, un ennesimo Giovan Francesco, è rappresentato nella prima opera a destra dell'ingresso. Un busto ricorda Paolo de Sangro, sesto principe, e poi la testa inizia a girare, il ritmo del respiro a farsi più accelerato: siamo quasi al centro della navata e guardiamo in alto: le figure dell'affresco della volta sembrano vivacizzarsi e volteggiare. La sindrome di Stendhal?!

Ma ecco che la statua del Decoro ci richiama al giusto contegno e poi, via via, tutte le altre meravigliose statue in candido marmo ci dicono qualcosa, lanciano un simbolico messaggio cui l'audio-guida ci condiziona un po' a sottometterci, fino a giungere a quella Pudicizia Velata, commovente e misteriosa, capolavoro eccelso. Fu dedicata da Raimondo alla madre, la principessa Cecilia Gaetani dell'Aquila d'Aragona, perduta quand'egli non aveva nemmeno un anno; lo scultore Antonio Corradini (massone) morì mentre stava lavorando alla simbolica statua. Di fronte un altro inimitabile capolavoro, il Disinganno, "l’ultima pruova ardita, a cui può la scultura in marmo azzardarsi", come Origlia la definì, riferendosi al virtuosismo tecnico raggiunto dall'artista Queirolo nell'esecuzione della rete, completamente in marmo, quasi certamente ideata dal genio del principe Raimondo. Unica statua maschile tra quelle presenti (oltre al Cristo Velato).

Ora osserviamo l'altare e l'enigmatico dipinto della Pietà sul quale si intessono i fili della storia di questa Cappella. Lasciamo per ultimo il Cristo Velato, polo indiscusso di attrazione per i visitatori da ogni parte del mondo. Noi lo osserviamo in silenzio, quasi in disparte, con la nostra digitale che scalpita ma deve restare spenta. L'irraggiungibile opera plastica, in cui materia e spirito sembrano essersi coagulati senza sforzo, non si è sempre trovata in questa posizione: pensata dal principe Raimondo per essere collocata nella Cavea sotterranea, fu per un periodo posta ai piedi della Pudicizia (come mostrato da una foto ottocentesca). Probabilmente con i lavori per il rifacimento del pavimento (1901) le venne cambiata la collocazione, ponendola al centro della navata, che sembra più pertinente.

Prima di imboccare l'arco che ci conduce nella Cavea sotterranea, notiamo il ritratto di Vincenzo, il figlio di Raimondo, a lungo erroneamente scambiato per quest'ultimo. L'opera fu realizzata dal pittore Carlo Amalfi con tecnica olio su rame. Fu questo il dipinto trafugato nel 1990, durante i lavori di ristauro del monumento, e non quello di suo padre nell'ovale sopra il suo sepolcro (è giusto sfatare informazioni scorrette, che avevamo ricevuto anche noi leggendo alcune fonti, rivelatesi quindi inattendibili). Soppesiamo nei nostri sensi, a lungo, l'insieme e lasciamo fluire sensazioni ed emozioni che dolcemente si incanalano in un punto preciso. Entriamo nel passetto, ritrovandoci faccia a faccia con la tomba del settimo principe di Sansevero. Ma di questo abbiamo già parlato; ora è doveroso congedarci.

 

 

  • Per tutte le informazioni consultare il sito ufficiale che è https://www.museosansevero.it/
  • Un equilibrato articolo sulla figura di Raimondo di Sangro è quello del prof. Davide Arecco, ricercatore e docente di Storia della Scienza e della Tecnica, Università di Genova, pubblicato su "Ars Regia",  Nel mondo del Principe di San Severo