Munasterio 'e Santa Chiara

(a cura di duepassinelmistero)
 
 

Dagli enigmi della facciata della chiesa del Gesù Nuovo, passiamo alla visita di straordinario interesse del Monastero di Santa Chiara, protagonista della prima e più famosa canzone napoletana, Munasterio 'e Santa Chiara, scritta da Michele Galdieri (parole) e Alberto Barberis (musica) quando il complesso, tra i più importanti centri religiosi della città, versava in condizioni strazianti a causa dei bombardamenti alleati del 4 agosto 1943, che lo ridussero in macerie. Ma proprio da quella ferita vennero rimessi in luce resti della città antica, che giacevano nascosti da secoli sotto il complesso e oggi si possono visitare con il percorso di visita. Il monastero, retto dalle Clarisse, è di rilievo assoluto nella storia di Napoli; esso è ubicato nel punto di snodo tra l'area di impianto greco-romano e l'ampliamento urbano di epoca vicereale. Questa "cittadella francescana"  fu commissionata nel 1310 dal re angioino Roberto e dalla moglie Sancia di Maiorca e si qualifica ancora oggi come la più grande chiesa gotica della città, che ospita il sepolcreto ufficiale della dinastia dei Borbone a Napoli, dove riposano i sovrani del Regno delle Due Sicilie, da Ferdinando a Francesco II. Fu quindi una chiesa reale, nella qale furono celebrate cerimonie molto importanti.

Come vediamo, visitando questi luoghi di culto, impariamo a conoscere la storia della città e chi l'ha governata nei secoli [1] . Prima abbiamo visto il pantheon degli Aragonesi, in S. Domenico Maggiore, ora quello dei Borboni. E il complesso monumentale di S. Chiara, al pari di S. Domenico Maggiore, è una cittadella che il visitatore non può pensare di visitare in pochi minuti! Oltre alla chiesa, vi sono due chiostri, di cui uno meraviglioso (maiolicato) in cui si vivono particolari atmosfere settecentesche, il Museo dell'Opera, attraverso il quale si accede all'area archeologica esterna e infine un tradizionale presepe settecentesco. Si trovano infinite notizie su questo luogo di rilevanza assoluta nel panorama culturale, religioso e storico di Napoli, perciò non ne vogliamo dare di superflue. Accentreremo l'attenzione su alcuni elementi che hanno catturato la nostra attenzione. Anzitutto ci è sembrato assai curioso il progetto iniziale di costruire de conventi distinti e separati: quello riservato alle suore clarisse e l'altro ai frati minori francescani. Forse un unicum, perlomeno nelle nostre conoscenze. L'accesso alla chiesa e al complesso avviene attraverso un arco gotico del XV secolo, prospettante di fronte alla chiesa del Gesù Nuovo, lungo via Benedetto Croce; sorge infatti sul lato nord-orientale di piazza del Gesù Nuovo. In questa medesima piazza si trova un'altra chiesa che un tempo era il refettorio dei frati minori francescani, si chiama chiesa di Gesù Redentore e San Ludovico d'Angiò, già cappella delle sorelle povere di Santa Chiara (quando tutto il complesso passò a loro).
Mentre ci si avvicina appare sempre più imponente la mole del campanile, il quale presenta una lunga iscrizione in maiuscole longobarde di epoca angioina: narra la storia della fondazione della Basilica dal 1310 al 1340 ma si dice che i vari pezzi siano stati ricomposti in senso cronologicamente errato, dopo i lavori avvenuti tra XV e XVI secolo. La parte originaria trecentesca del campanile è quella inferiore e si vede bene la differenza con i piani superiori, completati nel XVII secolo. La torre è a tre ordini ed è alta 50 m; internamente è percorsa da una scala a chiocciola di circa 200 gradini, ma non è ancora stata riaperta al pubblico essendo chiusa da molti anni, sebbene sia in corso un progetto di riqualificazione e messa in sicurezza che dovrebbe portare alla sua fruibilità. Dall'alto della torre si godrebbe di un panorama inedito: "La visuale del golfo per intero, il centro antico con l'asse di Spaccanapoli, tutta la Napoli greco romana, il Duomo, la chiesa del Carmine e quella di Sant'Agostino alla zecca, Capodimonte, il porto, San Martino, il Vesuvio".
 
La chiesa fu costruita da Gagliardo Primario ma conobbe pesanti rifacimenti nel XVIII secolo, ad opera dell'arch. Domenico Vaccaro. In seguito al bombardamento del 4/08/1943, l'incendio distrusse gran parte dell'edificio, che venne ricostruito in dieci anni grazie al concorso di popolo, riportando le forme gotiche trecentesche.
L'ingresso incute un senso di sacra austerità, dalla lunghezza impressionante (130 m) e larga 40 m; a navata unica senza transetto, presenta dieci cappella per lato, dunque venti in totale. La seconda a destra ospita il sepolcro del Cavaliere dell'Ordine del Nodo: risale al 1300 e presenta la scultura giacente di un cavaliere che apparteneva a quell'Ordine. Ha le braccia conserte e la postura rigida; la testa poggia su un cuscino decorato da losanghe e motivi vegetali mentre i piedi sono appoggiati su due cagnolini. Non è riportato il nome del personaggio ma la sua identificazione come appartenente a tale Ordine è data dalla presenza del simbolo che caratterizzava i membri, un nodo.

L'Ordine fu fondato dal re Luigi d'Angiò (noto come Luigi di Taranto o Ludovico di Pannonia, avendo sposato la regina d'Ungheria) nel 1352, nel giorno di Pentecoste, in ricordo della sua incoronazione; la denominazione si deve alla divisa che era costituita da una veste bianca alla quale veniva annodato un laccio di seta e d’oro, ornato di perle, sotto il quale era ricamato il motto "Se Dieu Plait" (A Dio piacendo). Era il sovrano in persona che annodava il laccio al braccio o al petto del cavaliere, appena dopo il giuramento di fedeltà e non poteva essere sciolto per nessun motivo, se non in casi previsti dallo Statuto. Secondo alcuni, l'Ordine raccolse lo spirito dei gloriosi Templari, ed effettivamente il nome per esteso era Cavalieri della Compagnia dello Spirito Santo del diritto desiderio (Chevaliers de la Compagnie du Saint Esprit au droit désire).

Ogni Cappella è degna di soffermarsi, ma giungiamo alla decima, che il visitatore riconosce avere conservato l'aspetto barocco che le altre, come abbiamo detto, non presentano più perchè in conseguenza della distruzione bellica, vennero ricostruite nelle originali forme gotiche. La Cappella fu voluta nel 1742 da Carlo III di Borbone, con l'intenzione di creare solo temporaneamente un luogo di sepoltura in questa chiesa, pensando forse di crearne uno apposito altrove. Invece le cose non andarono così e questa è ancora oggi la Cappella funeraria dei Borboni, che continuano a possedere i diritti di sepoltura (anche se i titoli, in Italia, sono decaduti). Chi è sepolto nella cripta di questa Cappella? I sovrani del Regno delle Due Sicilie, le mogli e alcuni dei loro figli o figlie [2].

Essendo il Regno nato nel 1816, i sovrani qui inumati appartengono tutti ad un periodo posteriore, a cominciare da Ferdinando I di Borbone (morto nel 1825), fino a Francesco II (morto nel 1894). Durante il regno di quest'ultimo, si svolsero tutti i drammatici eventi che portarono all'unità d'Italia, e quindi all'instaurazione del Regno d'Italia con a capo il re Vittorio Emanuele II di Savoia. Le salme di Francesco II di Borbone, della moglie e della figlia Maria Cristina Pia, furono infatti sepolte dapprima in un'altra chiesa (quella dello Spirito Santo dei Napoletani) e traslate in questa Cappella soltanto nel 1984.

Su una parete si distingue il sarcofago di Filippo di Borbone, figlio di Carlo III, che appunto dedicò al ragazzo il dolente monumento. Filippo morì di vaiolo all'età (è scritto), di trent'anni, mesi tre, giorni sei, nel 1777. Sepolcro e basamento furono disegnati da Ferdinanfo Fga e realizzati dai maestri marmorari Giovanni o Stefano Attigiati. I putti piangenti sono interessanti esecuzioni di Giuseppe Sanmmartino (autore del Cristo Velato nella Cappella Sansevero, tanto per dirne una). La pala d'altare della Cappella è opera cinquecentesca di Gerolamo Macchietti e raffigura l'incredulià di San Tommaso. Nel sarcofago dell'altra parete, sovrastato da diverse lapidi epigrafiche, si trovano le spoglie di Maria Cristina di Savoia (1812-1836), Regina consorte delle Due Sicilie, avendo sposato il re Ferdinando II. L'iscrizione sul sarcofago dice che fu condotta una ricognizione del resti, da parte del Cardinale Marcello Mimmi, il 31 gennaio 1958. Visse 23 anni, mesi 2, giorni 17; morì il 31/01/1836. Sappiamo che la causa della morte della ragazza fu una complicanza del parto, dal quale nacque e sopravvisse l'unico figlio, Francesco II, che alla morte del padre divenne l'ultimo re del Regno delle Due Sicilie. Maria Cristina di Savoia è stata dichiarata dapprima venerabile e dal 2014 beata, per la sua opera di dedizione ai malati e ai bisognosi.

La visita della chiesa prosegue, tra arche funerarie con mirabili sculture e lacerti di affreschi di epoca medievale, e arriviamo all'altare maggiore, alle cui spalle -sulla parete- è collocata ad un'opera imperdibile: la tomba del re Roberto d'Angiò (+1343), figlio di Carlo II d'Angiò e il fondatore della chiesa in cui ci troviamo, insieme alla seconda moglie Sancha d'Aragona. E' una delle opere trecentesche salvatasi dall'incendio che conseguì all'esplosione delle bombe del 1943. Il monumento è opera di scultori fiorentini, Giovanni e Pacio Bertini (1343-'45) ed è considerata una delle più importanti e sontuose opere medievali cittadine e ha un forte valore simbolico, oltre che storico. Le Virtù sorreggono l'arca, in cui - tra archi fiancheggiati da colonnine - siede centralmente il re in vita, contornato dai membri della sua famiglia (a sinistra ci sono Maria di Durazzo, Maria figlia di Carlo duca di Calabria, il figlio secondogenito Ludovico; a destra invece la prima moglie Violante d'Aragona, Carlo duca di Calabria, Maria di Valois, il figlio di Carlo di Calabria, Ludovico ed infine l'altro figlio del re angioino, Martino). Come fosse un coperchio sopra l'arca, troviamo quindi la statua del re giacente, abbigliato con l'abito francescano; intorno a lui figure allegoriche del Trivio (Grammatica, Retorica, Dialettica) e Quadrivio (Aritmetica, Geometria, Astronomia, Musica). Più in alto il re è vittorioso e siede su un trono, entro un arco dipinto con Gigli di Francia e altri affreschi ai lati. Del monumento mancano alcune parti, in totale ha un'altezza di 15 m.

Questo sovrano è detto il Saggio ed è ricordato da Petrarca e Boccaccio come un mecenate colto e generoso.  Sposatosi in prime nozze con Jolanda d'Aragona, ebbe due figli maschi ma non gli sopravvissero. Il primo (Carlo), tuttavia si sposò ed ebbe due figlie femmine. Ad una di queste nipoti, Roberto lasciò il trono alla propria morte. Si chiamava Giovanna (1327-1382) ed ebbe forse come tutrice la seconda moglie del sovrano, Sancha (sepolta nel monastero nel 1345). Ed è attorno alle figure di queste due donne che ruota la leggenda del fantasma di S. Chiara. Si manifesterebbe nell'antico chiostro delle monache, ma non si sa se si tratti di una o due figure femminili. Secondo alcuni, Sancha vaga pregando e piangendo l'anima della sua giovane amica, nonchè nipote del marito Roberto. E Giovanna si aggira senza pace, essendo morta scomunicata.

Ma cosa successe a Giovanna I d'Angiò, che fu regina di Napoli dal 1343 al 1381? Sarebbe un po' troppo lungo da spiegare ma in sintesi la sovrana, accusata in un primo tempo di aver contribuito all'omicidio del primo marito, non ebbe vita facile. Partorì un figlio legittimo, Carlo III, che però non sopravvisse e fu costretta a nominare come successore un cugino, Carlo di Durazzo, che la avversò aspramente, aspirando a scalzarla presto dal suo posto. Nei fermenti dello Scisma della Chiesa d'Occidente, Giovanna si schierò dalla parte dell'antipapa avignonese Clemente VII, mentre il cugino appoggiò papa Urbano VI (vi erano due papi contemporaneamente), che era napoletano. Nell'aprile del 1380 questi dichiarò Giovanna eretica e scismatica e la depose dal trono. Seguirono tumulti e la regina, privata dei suoi poteri, fu imprigionata e uccisa da sicari nel castello di Muro Lucano (1382).

Aveva fatto in tempo a designare un altro successore, Luigi d'Angiò, che venne incoronato re dall'antipapa Clemente VII ma tutto questo non bastò: Carlo di Durazzo (Carlo III) aveva ormai campo libero e si fece incoronare re da Urbano VI. I suoi figli però non portarono avanti per molto tempo la dinastia capetingia, destinata ad essere travolta dalle vittorie degli Aragonesi.

E Giovanna dove fu sepolta? Nessuno lo sa con certezza; alcuni sostengono che non poteva essere inumata in territorio consacrato (cioè in una chiesa) e pertanto le sue ossa sarebbero state disperse in un luogo sconosciuto della sacrestia...Si era ritenuto potesse essere il suo il sarcofago (oggi denominato "tomba di nobildonna [3]) rinvenuto dopo il bombardamento del 1943, nei pressi dell’ingresso del Chiostro di Santa Chiara, ma chissà?! Da questi vuoti storici è nata la leggenda del fantasma che si presenterebbe nella notte tra il 27 e il 28 luglio di ogni anno, nel Chiostro del monastero, con un lungo abito, a capo chino e a mani giunte, vagando senza meta. Chi lo incontra non deve assolutamente fermare il suo cammino, pena una morte istantanea!

Accediamo ora al fantastico chiostro maiolicato, un'opera mai vista prima, in nessuno dei luoghi che abbiamo visitato. Sull'impianto del chiostro trecentesco, vennero operate diverse trasformazioni ma la più importante fu quella commissionata dalla badessa Ippolita Carmignano, che ordinò all'arch. Vaccaro la creazione di una sorta di "Giardino di Delizie". Il risultato è visibile ancora oggi perchè, miracolosamente, questo chiostro non venne danneggiato dal bombardamento del 1943. Un'opera simile deve essere costata molto, in termini economici, ma dobbiamo ricordare che:

- il monastero era di fondazione reale e i sovrani si presero sempre cura del sostentamento delle suore di clausura e della dotazione del complesso, che divenne ricchissimo;

- le monache appartenevano a famiglie nobili o agiate di Napoli, che contribuivano ulteriormente al loro sostentamento;

- il complesso poteva contare su molte elemosine, donazioni, ecc.;

Non ultimo, colei che sollecitò la realizzazione di questo formidabile chiostro fu la regina di Napoli Maria Amalia di Sassonia (consorte di Carlo III di Borbone). Il Vaccaro creò due viali disposti a croce, fiancheggiati da 64 pilastri rivestiti di splendide maioliche a tema floreale. Inoltre, li raccordò tra loro tramite panchine, anch'esse totalmente rivestite di maioliche, che sorprendono perchè non mostrano temi religiosi, eccetto una. "L'intento della badessa era quello di manifestare una maggiore apertura verso l'esterno in modo tale che la nuova struttura rompesse l'austerità del vicino tempio gotico, rendendo dunque gli spazi più armoniosi e fondendo architettura e natura così da confondere gli ospiti. Durante questi interventi le fontane trecentesche, che un tempo abbellivano la chiesa, furono portate all'esterno e una di queste fu completamente circondata da un "mare maiolicato"" (wikipedia). Per approfondimenti invitiamo a visionare il nostro filmato inserito in fondo a questo articolo, dove troverete anche le immagini dello scavo archeologico visitabile con lo stesso biglietto d'ingresso al Complesso Museale di S. Chiara. Oltre alla chiesa (accessibile gratuitamente), infatti, sono assolutamente imperdibili il Museo, il Chiostro e l'area archeologica.

Quest'ultima venne  parzialmente in luce in seguito al bombardamento alleato del 1943 e durante i lavori di restauro da parte dei frati minori negli anni '50. Si tratta del più vasto complesso termale di Napoli, appartenente probabilmente ad una Villa del I sec. e rimasto in uso fino a tutto il IV secolo d.C. Le prime vestigia si possono vedere già nella prima Sala del Museo, dove è apprezzabile parte di un ambiente con ipocausto (angolo sud-ovest dell'area scavata), di cui è conservata la pavimentazione in bipedali; utilizza come muro perimetrale la struttura in reticolato che verosimilmente costituisce il muro di fondo della palestra. A questo proposito va detto che le termhae dell'antica Neapolis erano strutturate su due livelli: uno (ipogeo) formato dalla palestra e da una piscina, l'altro da ambienti propriamente termali. 

La completezza della struttura la rende simile a quelle di Pompei e di Ercolano e si trova proprio qui, nel centro storico di Napoli! All'esterno della prima sala si è rinvenuto un piccolo forno circolare colmo di ceneri, riconducibile al sistema di riscaldamento. L'acqua che alimentava il compesso derivava dall'Acquedotto del Serino (di cui abbiamo parlato in più sezioni, come la Piscina Mirabilis di Miseno; era un acquedotto che originava a un centinaio di chilometri di distanza, in provincia di Avellino) e se ne può vedere un braccio che costituiva il lato occidentale della piscina. E' costituito in opera reticolata con ammorsature in tufo; termina con un pilastro quadrangolare disposto ad angolo retto rispetto al lato breve nord della piscina.

Si può anche ammirare la "fistula acquaria", cioè un tubo di piombo che portava l'acqua dai serbatoi pubblici alle case o stabilimenti privati. A rilievo reca un'iscrizione, CAECINE ALBINI, nome del concessionario dell'acqua, che apparteneva ad una famiglia illustre, forse di grado senatorio (si conosce la famiglia da altre iscrizioni e da esse si è capito che i membri rivestirono cariche importanti dall'inizio dell'età imperiale fino al V secolo d.C.). La fistula acquaria, secondo gli esperti, testimonierebbe il rifacimento dell'impianto idrico delle terme, quando l'Acquedotto del Serino fu restaurato (sotto l'imperatore Costantino).

I vari e importanti reperti che sono venuti alla luce durante gli scavi sono esposti nella Sala dell'Archeologia del Museo dell'Opera. L'impianto denota l'elevato livello raggiunto dagli ingegneri idraulici romani, con condotte sia per l'ingresso e la distribuzione dell'acqua che per il suo smaltimento. La parte termale si articola in una natatio (vasca rettangolare) rivestita di intonaco impermeabile, in un tepidarium o forse calidarium (altra vasca di forma quadrangolare più piccola), un laconicum (impianto di servizio) ed in un ninfeo o frigidarium più a nord. Non tutta la struttura è stata scavata; parti restano interrate. Dai ritrovamenti effettuati, si è potuto capire che alcuni ambienti ipogei furono usati come discarica dalle monache di clausura.

Terminata la visita dell'area archeologica esterna, si rientra nel Museo e si visita la Sala della Storia, dove si possono conoscere le vicissitudini del complesso monumentale nel corso dei secoli.

All'inizio della sala vi sono i busti dei due sovrani fondatori, Roberto d'Angiò e della sua seconda moglie Sancia, le immagini della chiesa pre e post-bombardamento e le fasi della ricostruzione (fanno effetto). Nella Sala dei Marmi (un tempo questo salone era adibito ad ambiente di lavoro delle monache) costituita dopo il bombardamento, sono raccolte statue ed elementi marmorei, una parte dei fregi che adornavano le celle delle clarisse, gli stemmi nobiliari presenti nelle cappelle laterali della chiesa. Nella Sala dei Reliquiari, che è posta al piano soppalcato, si trovano arredi liturgici, paramenti sacri, portareliquiari lignei coloratissimi (testimoni di una intensa devozione popolare), alcuni forse condotti qui dalle suore che provenivano dai monasteri soppressi in seguito alle leggi napoleoniche (Donnaromita, Donnalbina) o dopo l'unificazione d'Italia (Donnaregina, Sapienza e Divino Amore).

Si trovano anche alcune reliquie e un'opera di considerevole pregio di Giovanni da Nola, il busto ligneo dell'Ecce Homo. Appartenevano al monastero anche alcuni preziosisissimi reliquiari, donati dai re fondatori, ma di essi non resta traccia. Tra XVII e XVIII secolo questo complesso poteva competere con la Cappella del Tesoro di San Gennaro o quello del Gesù nella commissione di opere argentee. Interessante è vedere, in fondo a queesta sala, la tipologia delle stanze in cui alloggiavano le clarisse professe dedite al servizio delle monache coriste; all'interno della cella vi era una scala di collegamento con il piano superiore. Non tutte le celle del dormitorio dell'ala occidentale erano uguali: alcune presentano la peculiarità di essere disposte su tre livelli! Alla quota del dormitorio c'era la cella con la terrazza, sotto cui era situata la "sottocella" che ospitava la monaca servitrice. I due ambienti erano comunicanti tramite una scaletta. Nella parte inferiore della sottocella era situato un terzo locale (deposito/servizio?), comunicante con quella che oggi è la Sala dei Marmi del Museo. Davvero interessante e unico, per quanto ci riguarda!

Non è da perdere il presepe napoletano, ubicato in una sala (usciti dal chiostro), la cui scenografia fu realizzata in cartapesta, sughero e legno; i personaggi, invece, hanno il corpo in ferro filato e stoppa, con arti e volti in terracotta. L'opera risale al XVIII-XIX secolo e, come è tradizione della città partenopea, le figure attendono a scene di vita quotidiana, minuziosamente riprodotti (sono quindi uno spaccato della vita del tempo). La grotta della Nascita è un monumento diroccato romano.

 

 

[1] Il Regno di Napoli ebbe inizio nel 1302 con la Pace di Caltabellotta e durò fino al 1816. Dopo i Romani, la città fu una provincia bizantina retta da un governatore militare (dux). Alla fine del VI secolo d.C. e fino al 1137, Napoli fu un Ducato, retto autonomamente da nobili famiglie, che si tramandavano la carica ereditariamente, fino a quando venne annesso al Regno di Sicilia ad opera d Ruggero di Sicilia.  Dai sovrani della dinastia di origine normanna, nel 1198 il Regno di Sicilia passò alla casata degli Hohenstaufen con Federico II di Svevia e restò nelle mani di questa famiglia fino al 1266, quando l'ultimo re (Manfredi), fu sconfitto dai Capetingi ci Carlo I d'Angiò, che tuttavia perse l'isola di Sicilia per i Vespri Siciliani. Il popolo offrì la corona a Pietro d'Aragona. Quindi si ebbe una spaccatura tra il Regno di Sicilia Citeriore e Ulteriore, che si risolse con la Pace di Caltabellotta, che metteva d'accordo aragonesi e angioini per il possesso dell'Italia meridionale. In realtà la vera pace non si ebbe mai. Comunque Carlo II d'Angiò, della dinastia capetingia, fu il primo re del nuovo Regno di Napoli. I Capetingi regnarono dal 1282 al 1442, quando vi fu la riconquista aragonese di Alfonso I (1442-1458); il Regno di Napoli passò poi sotto il governo di un ramo cadetto della casa d'Aragona (1458-1501) e in questo periodo la capitale del Regno, Napoli appunto, divenne famosa per lo splendore della sua corte e il mecenatismo dei sovrani. Nel 1504 iniziò un lungo periodo chiamato dei Vicerè: a causa della guerra tra Francia e Spagna, il Regno di Napoli venne drasticamente unito alla monarchia spagnola borbonica, insieme a quello di Sicilia. Entrambi i regni divennero vicereami distinti (ultra et citra Pharum) e con la conseguente distinzione storiografica e territoriale tra Regno di Napoli e Regno di Sicilia. Benché i due regni, nuovamente riuniti, ottennero l'indipendenza con Carlo di Borbone nel 1734, l'unificazione giuridica definitiva di entrambi i regni si ebbe solo nel dicembre 1816, con la fondazione dello Stato sovrano del Regno delle Due Sicilie, che terminò con l'unificazione d'Italia (1860) (per approfondimenti vedi Regno di Napoli)
[2] La dinastia dei Borbone delle Due Sicilie, detta anche Borbone di Napoli, è uno dei rami italiani della famiglia Borbone, casa reale del Regno di Napoli (Sicilia citeriore) e del Regno di Sicilia (Regno di Sicilia Ulteriore), riunificati nel 1816 nel Regno delle Due Sicilie. Il ramo origina dai Borbone di Spagna. Fondatore fu Carlo (che preferiva non apporre nessuna numerazione dopo il suo nome), figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese. Fu Carlo, già Duca di Parma e Piacenza come Carlo I, a volere il Teatro San Carlo e la Reggia di Caserta (meta di uno dei nostri sopralluoghi) durante la sua monarchia (1735-1759), allorchè fu chiamato sul trono di Spagna, a Madrid, dove prese il titolo di Carlo III, dal 1759 fino alla morte
[3] Quarta cappella di sinistra