La Casa del Pellegrino a Civate (LC)

                                                                          (Marisa Uberti)

 

Dopo aver visitato il magnifico complesso di San Pietro al Monte e il San Calocero, restiamo a Civate per un'altra visita d'elite: quella alla cosiddetta "Casa del Pellegrino".

Gli affreschi scoperti dai recenti restauri sono stati inaugurati sabato, 21 settembre 2013. Quindi possiamo dire di essere tra i primi a visitarli, e ce ne compiacciamo anche perché ci hanno grandemente affascinato.

Sulle origini di questo edificio è ancora in parte il velo del mistero; si sa che c’era uno xenodochium medievale, cioè un luogo di ospitalità per pellegrini e viandanti diretti al complesso di San Pietro al Monte e al San Calocero. Al contempo era un punto di sosta lungo la strada Lecco-Como, un punto assai pregevole anche dal punto di vista paesaggistico, oltre che da quello sacrale.  

Questi “hospitali” erano gestiti da ordini monastici o monastico-cavallereschi come quello dei Templari o dei Giovanniti). Non sappiamo chi gestisse quello di Civate (con ogni probabilità i monaci del monastero civatese) ma cominciamo a trovare testimonianze scritte nella prima metà del XV secolo. La gente conosce da sempre questo posto come la cà di pelegrett, che si situa nella contrada denominata "Novastertia", in via Cà Nova al n. 12. Tale denominazione della strada attinge a quella del nuovo ospizio dei pellegrini sorto presso l'oratorio di San Vito (della chiesa dei SS. Vito e Modesto, che si trova sulla stessa piazza), ma in realtà era la via antica che introduceva i viandanti nel borgo murato. Quando San Pietro al Monte decrebbe come importanza, il monastero a valle prese il sopravvento e tra le sue proprietà rientrava anche l'Hospitale, che si situava nel caseggiato appartenente al monastero stesso. In seguito fu proprietà di alcune nobili famiglie: i Sappi originari di Cassago (nel XV sec.), i Canali (tra XVI e XVII secolo), che per mano di Marco donarono la dimora alla Scuola del Santissimo Rosario della Chiesa di San Vito, che la tenne fino al 1754.  Fu, in seguito, un cappellano ad ereditare tutti i beni; nel 1876 la dimora divenne proprietà della famiglia Gavazzi e, dal 1899 al 1942, dei fratelli Dell'Orto. nel 1942 la struttura venne donata alla Parrocchia di Civate, che la trasformò in canonica.

Della sua reale origine si erano perse le tracce; infatti la casa era caduta in abbandono. Solo nel 2002 vennero iniziati dei lavori di recpuero; gli ambienti facevano parte dell’oratorio, in cui funzionava anche il classico bar. Uno dei clienti pare si sia accorto che sotto le pareti intonacate vi fossero dei dipinti antichi. Il parrocco ci credette, fece eseguire dei saggi e venne premiato: il passato ha rivelato dei segreti meravigliosi e che vanno ad incrementare il già ricco patrimonio storico-artistico di Civate. La visita è possibile (1) ma guidata e prenotata, dal momento che sono ancora in corso dei lavori che porteranno alla creazione di una struttura polivalente di interscambio culturale.

Al piano di ingresso, nel cortile, si notano un pozzo e i resti di un forno; sulle pareti del vano coperto si trovano gli stemmi di due delle famiglie che furono proprietarie dell’edificio.  Si ritiene che la corte appannaggio del complesso fosse molto più ampia di oggi, comunque entrando si accede in una corte chiusa, attorno alla quale si sviluppa tutto l’edificio, costituito da tre parti principali:

  • la porzione del XX secolo, a sud, che si addossa alla più antica cortina muraria
  • la porzione centrale, posteriore al XVI secolo, con ampi saloni, soffitti lignei e archi ogivali affacciati sulla corte
  • la porzione quattrocentesca, situata a settentrione, la più interessante per la presenza delle sale affrescate internamente e, all’esterno, per la presenza di pareti a graticcio con conci di pietra

Salendo le scale ci si ritrova al primo piano, dove due bassi ingressi ad arco voltato introducono in altrettante sale del XV secolo. Queste dovevano originariamente essere tre, secondo le ipotesi ricostruttive, ma una (quella occidentale) è andata perduta perché fu incorporata ad un’altra unità abitativa.

Gli stipiti delle due entrate sono dipinte con colori vivaci, campeggia un po’ ovunque la figura di un uovo (simbolo di vita e rinascita). Nella prima sala si rimane davvero colpiti dall’impiego del colore rosso carminio, dai temi a prima vista di cacciagione (caccia al cinghiale, al falcone, al cervo) ai quali si legano scene di vita borghese, ma anche religiosi. Su tutto campeggiano, disposti probabilmente a cadenze regolari, dei grossi fiori simili a margherite ma viste posteriormente, come se dovessero vederle delle immaginarie persone oltre la parete. Che cosa significa questa rappresentazione, del tutto inaspettata e, per quanto ci riguarda, unica?

 

   A sinistra, dettaglio di uno dei fiori; a destra, la raffigurazione del Sole e del fuoco solare

 

Questi fiori sono muniti di radici e di foglie ma in nessun caso sono doppie. Ciascun fiore è raffigurato singolarmente, con il suo apparato vegetale. Le margherite sono dipinte in ogni scena e su ogni parete: dal tema profano a quello religioso, anche sopra il bellissimo sole con dodici raggi ondulati e altri lineari a indicare il fuoco solare. Il suonatore di corno sembra chiamare tutti i visitatori ad una lettura più profonda della semplice immagine visiva: chi commissionò ed eseguì questi temi doveva avere una cultura piuttosto elevata, infarcita di indicazioni filosofiche che in quel periodo dilagavano presso le corti italiane e nelle dimore nobiliari. Sulla parete a sinistra dell’ingresso si notano due scene: in una un felino aggredisce un cinghiale, nella seguente un signorotto è di fronte ad una dama, di cui però manca completamente il volto (in quel punto era stata messa –non sapendo che sotto l’intonaco vi fossero gli affreschi rinascimentali – una presa per la corrente). Il signore porge dei verosimili vegetali alla donna, nella mano destra ha un rametto verde con tre sfere nere (una è chiara per probabile abrasione del colore originario), in quella sinistra regge un elemento poco chiaro, di colore arancio. Dal canto suo, la dama sembra avere nella mano sinistra un piccolo cofanetto e nell’altra ciò che forse esso conteneva, una collana o un anello (?). Particolare il copricapo (o la capigliatura?) della signora. Curioso è pure il grande fiore che è interposto tra i due personaggi cortesi. Nella cornice superiore della amena stanza troviamo motivi vegetali e astratti, nel registro più basso troviamo alberelli intercalati a rami vegetanti foglie e frutti. Tutto sembra improntato alla copiosità, alla prodigalità della Natura.

 

             

                                        Scene rappresentate nella prima sala picta

 

                       

                                             Particolare della seconda sala picta

 

Nella seconda sala sono presenti scene di caccia, ma si aggiungono ulteriori simboli: quadrati, esagrammi, le uova compaiono sulla cornice superiore. I fiori sono diversi: alcuni sono poco chiari, altri si presentano con i petali aperti ma non sono margherite, come nella precedente camera. Sulla parete a destra dell’ingresso, inserito in una scena di caccia, campeggia un cerchio entro cui è raffigurata una mano emergente da una veste rossa ben lavorata (v. foto sopra). Le dita sono in posizione benedicente e indicano il tre; sulla parete adiacente è stato dipinto lo stesso sole raggiato della camera precedente ma qui, al centro, è raffigurata la Crocifissione. Sulla parete di fondo c’è un tema di particolare importanza: la fontana dell’Eterna Giovinezza[1]. Una donna –che ha il medesimo atteggiamento della dama della stanza precedente solo con un abito diverso – si sta avvicinando alla Fonte, tenendo in mano qualcosa. La signora è seguita dal suo felino, che ne segue ogni movimento (la scena è trepidante di attesa) e vi sono fiori sparsi sulla parete (non margherite). La fontana ha una base poligonale e sul davanti mostra una losanga. L’acqua ricade nella vasca da due bocche (mal visibili per abrasione) situate superiormente al fusto, che termina con un tetto piramidale in cui l’artista ha messo in evidenza la struttura che ricorda una muratura in pietra. Particolare il copricapo della figura femminile.

 

                

                     Particolare della Fontana dell'Eterna Giovinezza

 

Nell’ultima parete la scena è di compimento. Il cavaliere tiene il suo falco sul polso, sta rientrando probabilmente a casa. Tre animali brucano l’erba e una moltitudine di uccelli solca il cielo, volando bassa. Nel registro inferiore di questa sala si vedono onde e flutti.

 

                   

             Particolare dipinto nella seconda sala: cosa contiene?

 

Temi assai particolari, per questa zona. Uscendo ma rimanendo sempre sullo stesso piano, ci si immette nell’ala cronologicamente successiva, che però presenta affreschi assai più sbiaditi. Sulle pareti sono presenti numerosi graffiti lasciati probabilmente da visitatori nel corso dei secoli. Si noti, nel sottoscala, un affresco con due figure di sante: forse una Sant’Orsola (ha una torre accanto) e un’altra santa, di cui non sappiamo l’identità.

Una curiosità. pare che nel Castello di Brianza sia conservato un ciclo di affreschi simile a quello della Casa del Pellegrino; il maniero fu proprietà della famiglia Canali, che per un secolo dimorò anche proprio nella casa di Civate.

 

Nota:

1) Per le visite contattare l’Associazione Luce Nascosta

 

 


[1] Sul tema della Fontana della Giovinezza rimandiamo ad altri articoli in questo sito: Il Castello della Manta, La Fontana della Giovinezza nella Tradizione medievale e rinascimentale

 

Galleria foto: Casa del Pellegrino

Argomento: Casa pellegrino

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Devo visitarla vale la pena

Giulio | 30.03.2017

Mi anno riferito ok

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