I segreti della chiesa della Madonna della Neve

 a Pisogne

(Marisa Uberti)
 
Attualmente la chiesa della Madonna della Neve è sconsacrata ed è adibita ad attività culturali e spazio espositivo. In questa nostra visita cercheremo di conoscerla meglio, osservando ciò che si vede e ciò che non si vede. Infatti il visitatore frettoloso potrebbe non prestare attenzione alla nutrita serie di elementi che questo monumento ancora conserva, sia all'esterno che all'interno. L'attrazione maggiore è senz'altro fornita dagli affreschi interni di Girolamo Romanino, richiamato anche dai pannelli informativi antistanti l'ingresso. Scegliete una giornata di sole e un po' di tempo per visitarla: non si resterà delusi, anzi chi più occhio dimostrerà, più dettagli potrà notare. Noi ne abbiamo colti alcuni, ma certamente altri ne restano da scoprire (purtroppo, per la loro posizione, tanti a noi sono rimasti interdetti).
Questo interessantissimo edificio si trova nella parte elevata del paese di Pisogne, bellissima località sulle rive del lago d'Iseo e all'inzio della Valle Camonica. La chiesa della Madonna della Neve è situata a nord-est del territorio, ai margini della Via Valeriana, che per secoli costituì l'unica strada di collegamento tra Brescia e la Valcamonica; è inoltre in prossimità dell'antica strada militare verso la Val Trompia. Al tempo in cui fu eretta (tra il 1485 e il 1508), la chiesa era certamente solitaria, immersa in ambiente selvaggio sotto lo scuro spuntone di roccia che tuttora la sovrasta. La sua origine è attribuita alla volontà del popolo ma in realtà non è ben chiaro quale sia stata la funzione primigenia della struttura: forse luogo di accoglienza di mercanti e pellegrini che qui trovavano anche assistenza medica (ipotesi).
Dobbiamo ricordare che Pisogne era sede di un importante mercato, era snodo viario dei commerci, dei trasporti lacustri, cittadina d'approdo per la Valle Camonica. Sorgeva qualche edificio precedente, in loco? Non sappiamo se siano stati condotti scavi per dare una risposta a questo.
Il periodo in cui questa chiesa si sviluppò è significativo: nel 1510 a Pisogne e nella non lontana Edolo in Val Camonica furono messe al rogo 60 streghe “ed alcuni stregoni che assaltavano huomini, donne, animali, seccavano prati, herbe, etc. co' loro incantamenti" [1]. Nel 1518 sulla piazza del Mercato furono bruciate altre otto donne, condannate per stregoneria. Erano state sottoposte a terribili interrogatori dal  frate Inquisitore Bernardino de Grossis. Secondo alcuni autori la chiesa sarebbe sorta come sede della Confraternita dei Disciplini o Flagellanti (ma mancano conforti documentali sulla presenza di una "disciplinia" a Pisogne). Essi facevano della penitenza e della meditazione sulla Passione e Morte di Cristo uno stile di vita. A livello politico, Pisogne - dal XIII secolo e ancora al tempo della costruzione della chiesa- faceva parte della Vicinia che riuniva i rappresentanti di varie frazioni; da secoli contesa tra il Ducato di Milano e la Repubblica Veneta, era stata comunque sempre soggetta al vescovo di Brescia. Egli rinunciò ai diritti su Pisogne in cambio di Bagnolo Mella, riservando per sè la sola "Torre del Pègol", acquistata dal Comune nel XIX secolo, ancora esistente e visitabile (nella piazza del Mercato). La Repubblica di Venezia iniziò a governare la città verso la metà del 1500, dando grande sviluppo alle attività commerciali e un periodo di pace.
  • Il lato sud

Negli "Acta visitationis" di San Carlo Borromeo [2] questo luogo di culto è appellato Ecclesia Sancte Marie ad Nivem, que appellatur La Madonna della Longa (nome della contrada). In origine non doveva certo avere le forme attuali, che sono la risultante di interventi successivi: verso la metà del XVI secolo furono edificati due porticati sia a Nord che a Sud (cioè a sinistra e a destra per chi guarda la facciata), per accogliere i pellegrini in transito. Nella visita pastorale del 1580, l'arcivescovo Carlo Borromeo diede ordine di reealizzare un convento, a meridione,  per insediarvi una comunità di monaci eremiti di Sant'Agostino dell'Osservanza (Agostiniani) [3], arrivati stabilmente nel 1586-'88. In verità la S. Messa nella Madonna della Neve era già officiata da tempo da un padre agostiniano (Angelo da Viadana), che abitava accanto alla chiesa, mantenuto dal Comune e dalla Vicinia. L'intento del cardinale Borromeo era di affermare/consolidare istituzioni per la propaganda della fede e al contempo contrastare il più efficacemente possibile l'eresia e i fermenti luterani che si stavano diffondendo nell'entroterra (Valtellina in primis). Degli "avamposti" all'imbocco della Valle Camonica erano quindi l'ideale e a Pisogne in particolare.

Attualmente nell'ex- convento e nel rigoglioso giardino ha sede la Residenza Sanitaria Assistenziale "Madonna della Neve" per persone anziane (fig. 1).
 
Fig. 1
 
  • La Cappella di San Nicola da Tolentino e l'inedito affresco del Romanino nascosto per secoli
Guardando la facciata della chiesa ci si avvede di uno snello edificio addossato alla sua destra (dipinto in giallo chiaro) e dotato di un ingresso indipendente; il portale architravato è elegante e presenta motivi simbolici. E' sormontato da un fregio bombato, arricchito da racemi vegetali, reggente un timpano triangolare con cornice aggettata. Le lesene del portale sono ornate sulla fronte esterna da un motivo a pelte e, nella parte superiore, da busti di cariatidi a rilievo (Lombardia Beni Culturali). La trabeazione è retta da capitelli ad ovoli e foglie d'acanto e, sotto il fregio, corre un motivo a fusarole. Il portale introduce nella Cappella di San Nicola da Tolentino (Cappella del Convento, oggi della R.S.A. e visitabile su richiesta), risalente al XVI secolo. All'interno di quest'ultima ha suscitato grande scalpore la recente scoperta (2018) di affreschi eseguiti dal Romanino e mai riportati sui testi della storia dell'arte, che ne ignorava l'esistenza! Essi sono emersi al di sotto di uno strato di intonaco: un’infiltrazione d'acqua nella cupola del presbiterio ha iniziato a svelare qualcosa al di sotto. Gli esperti, chiamati per le opportune verifiche, si sono accorti che si trattava di dipinti del Romanino sconosciuti! L'artista bresciano aveva dipinto un'Annunciazione negli stessi anni del ciclo della Madonna della Neve o poco più tardi (1533-'37), che però fu coperta dagli Agostiniani quando si insediarono nel convento, intorno al 1586. Essi Intesero dare un taglio netto con il Rinascimento: coprirono il tutto con una mano di calce e chiusero l'accesso alla sagrestia. Praticamente murando l'affresco, che più nessuno vide fino al 2018, quando è stato ritrovato. Oggi se ne possono vedere delle porzioni dietro gli stucchi dell'altare nel presbiterio (fig. 2).
 
Fig. 2
  • Lato Nord: la rara Madonna dei Mestieri
 
A sinistra della chiesa, per chi osserva la facciata, si trovava il portico di settentrione (fig. 3), con probabile funzione di accoglienza dei pellegrini di cui si è accennato; a rinforzare questa ipotesi formulata dagli studiosi sarebbe esistita una Cappella intitolata ai Re Magi, considerati protettori dei pellegrini e dei viaggiatori. Ancora nel 1883 era possibile vedere l'affresco del Romanino raffigurante “L'andata dei Re Magi a Betlemme e l'Adorazione”, oggi del tutto scomparso (nel presbiterio della chiesa vedremo degli strappi fortunatamente scampati).
Il porticato non esiste più, smantellato nel 1878. Ha attratto la nostra attenzione un affresco assai mal conservato: a prima vista sembra di non ravvisarvi niente di più che una figura aureolata, tunicata forse originariamente d'azzurro, su uno sfondo giallo. La parete fortemente danneggiata e abrasa lascia però prodigiosamente intuire alcuni arnesi usati a quel tempo dalla comunità nelllo svolgimento del lavoro quotidiano. Lentamente cominciamo a riconoscere un pescatore su una barca a vela, un paio di forbici e degli abiti, delle botti, un carretto e comprendiamo di essere di fronte ad una rarità iconografica: la Madonna dei Mestieri o della Domenica. Anni fa avevamo ammirato il Cristo della Domenica o dei Mestieri, esterno alla chiesa di San Pietro a Feletto (TV) ma sapevamo ben poco di una Madonna della Domenica! Pare sia in realtà l'allegoria della Santa Domenica, che serviva per ricordare al popolo di santificare il giorno festivo da dedicare al Signore. Evidentemente una buona parte della popolazione continuava a svolgere le proprie attività nelle campagne, nei boschi, ecc. non frequentando la chiesa nè seguendo le celebrazioni della S. Messa, considerato un grave peccato. Nella parte inferiore, secondo alcuni autori, vi sarebbero scarni residui di una parola in scrittura gotica tedesca, che sembra far ipotizzare l'esecuzione di maestranze transalpine. L'afresco appartiene all'epoca primitiva della chiesa, cioè databile alla fine del 1400 (massimo inizio 1500); sarebbe stato coperto dai successivi affreschi di Romanino e riscoperto dallo strappo di questi ultimi.
 
Fig. 3: stampa d'epoca (ante 1878) che mostra la chiesa di S. Maria della Neve immersa nella vegetazione e incastonata ai piedi della montagna; è ancora presente il portico ad archi sul lato Nord e sul sagrato è visibile una fontana (non più presente), segno che doveva esservi una sorgente che la alimentava
 
Proseguendo lungo il lato nord della chiesa incontriamo un tempietto (cappellina o protiro, unico superstite del porticato smantellato nel 1878) di squisita fattura, ingentilito da archetti lobati che mostrano figure bianche alate affrescate su fondo scuro nei peducci (angeli musicanti), mentre dentro gli archetti si svolgono scene dell'Antico Testamento: la Creazione di Adamo ed Eva, gli stessi nel Paradiso Terrestre, il Peccato Originale, la Cacciata, il loro lavoro fuori dall'Eden.
Al di sotto corre una fascia purtroppo non adeguatamente leggibile, con girali e quattro piccoli medaglioni contenenti Profeti e Sibille (presenti, come vedremo, copiosamente all'interno). Più inferiormente, in due tondi distinti, troviamo l'Annunciazione. Sull'intradosso dell'arco  si apprezza un elemento decorativo in stucco modellato, costituito da girali vegetali; l'imposta dell'arco è invece decorata da una foglia d'acanto, che apppoggia su capitelli ionici, sovrastanti colonne lisce in pietra arenaria (datate post 1440 - ante 1460, ma a quel tempo la chiesa non esisteva!). Sotto il portichetto, le pareti e la volta sono interamente affrescate ma purtroppo i dipinti non versano in buone condizioni. Si riconoscono alcune scene, come quella di una Natività, al di sotto della figura di un S. Sebastiano. Una grande scena sembra raffigurare una bella Madonna in trono con Bambino in piedi sulle sue ginocchia. il piccolo Gesù tiene un'asta crucifera nella mano sinistra mentre la destra è benedicente. L'insieme è definito "Madonna con Bambino e Santi" (fig. 4). La critica colloca questi affreschi alla seconda metà del XV secolo, ma chi fu l'autore? Sono stati avanzati i nomi di Pietro da Cemmo [4]. Di questo pittore non si conosce nè la data di nascita nè quella di morte, ma la sua attività si produsse tra il 1474 e il 1504 in una vasta area comprendente il bresciano, il cremasco e il cremonese. Un altro nome è quello di Giovanni da Marone, operante nel XV secolo (nemmeno di lui si conoscono le date anagrafiche). Ci sembra utile sottolineare come questi affreschi siano particolarmente importanti, dato che sono i più antichi riscontrati nell'edificio e dovrebbero appartenere ad una fase precoce del monumento. Poco o nulla rimane dei soggetti affrescati sugli altri due lati esterni del portichetto; rimangono invece visibili i begli archetti lobati.
 
Fig. 4
  • Abside
Aggirando l'edificio ci si può portare sul lato orientale per vedere la parte absidale (facendo molta attenzione ai veicoli in transito, in quanto la strada Valeriana, tutt'oggi battuta, è incastonata tra la chiesa e la montagna retrostante). Nell'abside è presente un'elegante cornice che racchiude un'anonima finestra (fig. 5) (quando fu ricavata?). La finestra è speculare all'altra, posta sul lato opposto dell'abside. Tale finestra non presenta la bella lavorazione dell'altra (fig. 7), tuttavia si può rintracciare -sullo stipite destro- una lavorazione in pietra ritorta, probabilmente appartenente ad una fase precedente. Alzando lo sguardo si noterà che gli stessi archetti polilobati preenti sulla facciata, sul lato nord e nel protiro, si susseguono anche qui e dovevano racchiudere dei soggetti affrescati, desolatamente perduti. Dalla posizione in cui ci troviamo possiamo ammirare l'imponente mole del campanile (fig. 6).

   Fig. 5      Fig. 6      Fig. 7
 
  • La facciata e i suoi simboli
 
E' giunto il momento di riportarci sul sagrato per osservare la pittoresca facciata, che ricorda molto quella di un'altra chiesa di Pisogne, l'antica pieve di S. Maria in Silvis (v. articolo a parte). Molto probabilmente l'architrave e gli stipiti del portale furono realizzati da Damiano da Milano, che si firmò su quello di S. Maria in Silvis, insieme alla data; i due portali sono molto simili per impianto e decorazioni a motivi rinascimentali.
La lunetta è incorniciata da una ghiera in calcare fittamente lavorata a motivi fogliati (acanto?). Esternamente ad essa, a distanze regolari, si susseguono cinque formelle sempre in calcare bianco, recanti motivi fitomorfi (particolari inusuali a vedersi). Nella formella superiore centrale si distingue una croce, che sfugge ad una semplice occhiata. Il suo stile ricora le croci processionali (con il braccio verticale prolungato verso il basso e qui, nella fattispecie, il braccio sembra originare o finire nel tralcio vegetale alla base, bellissimo simbolismo). Gli altri tre bracci terminano in modo svasato. Nei quattro angoli interni si trova un numero: 1 5 0 8, cioè 1508, la data in cui la chiesa fu terminata).
Nell'elegante lunetta si trova un affresco (rifatto) con due angeli (mentre al centro è collocata - su un sottile basamento - una statuetta calcarea della Vergine con Bambino (post 1474 - ante 1499), cui corrisponde (superiormente) una pietra bianca lavorata, che si inserisce vistosamente lungo il semicerchio in pietra arenaria rossa di Gorzone (pietra "Simona"). Al di sotto, sull'architrave del portale, si ammirano due tondi posti ai lati, contenenti fieri profili maschili. Chi sono questi personaggi? Uomini anonimi rinascimentali o hanno un'identità specifica? Oppure sono santi? Su questo la critica è divisa; presentano fisionomie e acconciature differenti: quello a sinistra sembra avere una sorta di berretto con istoriazione floreale  a rilievo e sotto il copricapo spuntano tanti riccioli [5]; quello a destra non ha un copricapo ma i capelli hanno un taglio tipico della moda rinascimentale, tendenti ad ostentare un canone di bellezza votata all’eleganza e alla naturalezza. Dunque sembrerebbero non destare ulteriore interesse questi due ritratti senonchè un particolare ha attratto la nostra attenzione: se si osserva attentamente, dalla testa di ciascuno sembrano dipartire due piccole corna (fig. 8), forse da intendersi come simboli di illuminazione dei due uomini del Rinascimento?
 
Fig. 8
La risposta l'abbiamo trovata ritornando in loco e osservando bene la situazione. Abbiamo constatato che è solo un'illusione ottica: infatti basta seguire la linea del contorno di cui quelle "virgole" sono l'inizio e si giunge a vedere una sorta di aureola sul capo dei due personaggi (infatti alcuni critici li identificano come S. Sebastiano e S. Rocco). Quindi verificare sempre le impressioni personali! Come aureole sono ben strane e del resto come ritratti di santi non ci convincono ma invitiamo ad andarli a vedere. Al centro dell'architrave vediamo il simbolo bernardiniano con un sole raggiato (20 raggi) che inscrive uno dei più diffusi Nomina Sacra fin dal Medioevo: IHS, abbreviazione della frase latina Jesus Hominum Salvator, spesso stilizzato con una croce nella H, come nel presente caso. Il portoncino in legno è formato da ventiquattro formelle a punta di diamante. Lateralmente al portale dipartiva, da ambo i lati, una fascia affrescata a tema "Danza Macabra" (o, meglio dire, il Dogma della Morte, di autore ancora imprecisato), della quale nulla più è possibile vedere, essendosi irrimediabilmente dissolta. Si vede la traccia dell'originaria rappresentazione ma non il contenuto, purtroppo (fig. 9). Doveva incutere grande potenza espressiva e simbolica, essendo le figure a grandezza naturale (circa 1,80 m).
JHS, abbreviazione della frase latina Jesus Hominum Salvator (uno dei Nomina Sacra di largo uso in ambito cristiano fin dal Medioevo), spesso stilizzato con una croce nella H, come nel presente caso.

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Fig. 9
 
Ne abbiamo una descrizione con tavole in un'opera del 1859, "Trionfo e Danza della Morte, o Danza Macabra a Clusone. Dogma della Morte a Pisogne, nella provincia di Bergamo, con osservazioni storiche ed artistiche", di Giuseppe Vallardi [6], che le riprese da Gabriele Rosa (1846). La rappresentazione era dispiegata sul lato destro e sinistro (divisa dalla presenza del portale d'ingresso). A ciascuno dei due capi della fascia (sui pilastri) stava uno scheletro ed è assai interessante che da un lato vi fosse la Morte vittoriosa o Regina, dall'altro la morte sconfitta domata da Cristo Risorto. Nella fascia di sinistra lo scheletro era infatti munito di corona e reggeva cinque frecce pronte a scoccare verso un corteo idealmente suddiviso in tre gruppi sociali (separati da una colonnina): in prima fila il Papa, dietro al quale stavano "due cardinali, indi due vescovi e due diaconi, e dietro una schiera di dignitarii ecclesiastici, di nobili secolari, e finalmente di gentildonne, tutti portanti segni di ricchezza e di avarizia; alcuni con vasi d’oro, altri con borse piene o bacili di pietre preziose" (Vallardi, op. cit.)  (fig. 10). Se contiamo le figure, per curiosità, ne troveremo sette nel primo scomparto, sei nel secondo e nove nel terzo, per un totale di ventidue.
 
Fig. 10
 
Dalla parte opposta, la scena si muoveva verso destra, andando incontro ad uno scheletro senza corona e munito di arco senza più corda nè frecce (fig. 11), perchè Cristo gli compare davanti, vincitore sulla morte e risorto. Così descrisse la scena il Villardi: "Allo scheletro muove incontro altra comitiva divisa pure in tre scompartimenti e volta da settentrione a mezzodì, preceduta da Gesù conducente pel braccio la Vergine Maria. Dopo vengono cinque santi nimbati e portanti bende, su cui forse erano scritte sacre leggende commentanti i simboli da loro figurati; indi seguono re, principi, e dignitarii secolari, portanti non ricchezze, ma banderuole, su cui forse erano parimenti scritte le virtù che li fecero seguaci di Cristo a vincere la morte". L'autore si lamentava (giustamente e da bravo studioso) che i motti non si leggessero più e pure noi ci lagnamo del fatto che già da tempo l'intera raffigurazione sia scomparsa.
Nell'ultimo scomparto Villardi descrisse "distinti personaggi appartenenti a lontane nazioni gentili, cui la luce del Vangelo apri la verità, le fisionomie dei quali si accordano col nome che ciascheduno porta sul petto. Principalmente distinguonsi al costume orientale, un Turco, un Calmucco, ed un Moro. Sopra le figure dei re e dei principi al signor Rosa [7] fu dato di leggere il seguente distico:
 

Noi spregieremo adunque li denari, perchè per essi non possiamo campare".

 

Fig. 11

Noteremo che ciascuno scomparto ospita sette personaggi chiaramente visibili, per un totale di ventuno (senza contare lo scheletro). Conteggiando i personaggi di entrambe le parti, essi sono 43.

La presenza di questo tema -alquanto diffuso in quel periodo - fa presumere alla critica che la chiesa fosse gestita dall'ordine dei Disciplini, come abbiamo già accennato. Va detto che il tema della Danza Macabra è presente anche nella pieve di Santa Maria in Silvis. 

Sul signifiicato della raffigurazione abbiamo parlato in altre pagine di questo sito; nello specifico rimandiamo all'opera del Rosa e del Vallardi. La fascia interrompeva la decorazione murale a losanga. Ciò che sembra di dedurre, osservando la facciata da una certa distanza e immaginandola con i colori vivi e splendenti, è che questa chiesa dovesse suscitare ammirazione e monito.

Alzando lo sguardo oltre la lunetta, incontriamo un rosone che presenta tracce di motivi floreali affrescati nella cornice circolare. Importante la vetrata che chiude il rosone, della fine del 1400, che costituisce uno dei rarissimi esempi di tale arte in questo territorio [8]. Superiormente all'oculo si può (con occhio aguzzo ma ancora meglio con un teleobbiettivo) rintracciare la labile presenza di una Madonna con Bambino: si riconosce la punteggiatura dell'aureola e la posa di Gesù, che non è quella classica: "sembra quasi voler fuggire di mano a sua Madre" (Vezzoli). Per il resto l'affresco è quasi scomparso, mentre si vede parzialmente la figura di Dio Padre, sullo stesso asse verticale, al vertice di una fascia che segue lo spiovente del tetto (fig. 12). Alle estremità di tale fascia si trovano due tondi, ma purtroppo anche questi affreschi stanno scomparendo (in pochi decenni).

 
Fig. 12
 
Lungo la fascia che unisce i tondi alla figura centrale del Padre, si osservano tracce di affreschi interessanti: sul lato sinistro -accanto al tondo - abbiamo individuato questi due soggetti bianchi su sfondo rosso, ricollegabili ad esseri fantastici (sirenoidi?) o mitologici (fig. 13). Malauguratamente la lettura della fascia è ostacolata dalla dissolvenza dei dipinti stessi (sembra preponderante il tema fitomorfo a girali).
 
Fig. 13
 
Se si avrà cura e pazienza di spingere lo sguardo ancora più in alto, si potranno distinguere le figure affrescate entro gli eleganti archetti polilobi (o polilobati). Non sono giunte integralmente conservate ma si riconoscono ritratti maschili con relativo cartiglio che la critica ha identificato con i Profeti (post 1474 - ante 1499). Sono in numero di 16; ciò induce a riflettere che il 4 e i suoi multipli siano fortemente rappresentati sulla facciata: la decorazione parietale è costituita da quadrati disposti a losanga con fioroni bianchi su sfondi di vari colori: verdi, viola, rossi, e altri ma la cromia si sta gradualmente sbiadendo! La "Danza Macabra" aveva le seguenti misure: 4,80 m di larghezza (ciascuna) per 180 cm di altezza (ciascuna). Ventiquattro sono le formelle lignee che costituiscono il portale. Queste sono soltanto elementari considerazioni; bisognerebbe avere dei dati circa la geometria sacra della chiesa. Ma anche semplicemente i rapporti usati.
Noteremo che fu messa molta cura nella decorazione di questa facciata "a capanna" (ma certamente tutti i lati dovevano essere curati allo stesso modo), che risultava tutta dipinta, fino al tetto. Su di esso vediamo tre pinnacoli terminanti con una croce, fig. 14 (quello di destra è addossato alla Cappella di S. Nicola da Tolentino). Anche il campanile doveva essere esternamente dipinto, come ancora si vede.
 
 
Fig. 14
 
  • L'interno, i dipinti del Romanino e i misteriosi cartigli dei Veggenti
La porta aperta non ci ha privato della forte emozione che abbiamo provato varcando la soglia d'ingresso: immediatamente siamo calati in uno spazio e in un tempo che non erano più quelli dell'esterno (questa è stata un'impressione personale, naturalmente!). Una magia che questa chiesa, pur sconsacrata e soggetta a tanti cambiamenti d'uso, riesce a compiere a dispetto di tutto. Sprigiona un forte senso del divino e del sacro; non si può spiegare a parole ma chi l'ha progettata sapeva il fatto suo. L'unica navata è disposta sull'asse Est-Ovest, con ingresso a ovest e abside a est, secondo i canoni ecclesiastici Versus Solem Orientem [9].
Lungo la navata non vi sono finestre; pare che siano state fatte tamponare dal Romanino per potere disporre delle intere pareti.
L'illuminazione importante e dosata perviene dal rosone in facciata, collocato a occidente. Nell'abside semicircolare vi sono due finestre, come già detto, ma la loro posizione laterale illumina la parte presbiteriale, sostanzialmente. L'ingresso immette direttamente nella navata, completamente affrescata, comprese le tre volte a crociera, corrispondenti ad altrettante campate divise da archi ogivali trasversi. Non vi sono cappelle nè altari laterali; il presbiterio è leggermente rialzato e vi si accede tramite tre gradini. Un muretto disposto sul lato destro e sinistro separa la zona della navata dal presbiterio (cioè la zona profana riservata ai fedeli da quella sacra dove stava il celebrante). Una porta architravata è presente sul fondo della parete meridionale; fu realizzata verosimilmente tra il 1500 e il 1549.
Due porte si trovano ai lati dell'abside: una introduce nel protiro del lato nord e una è a sud.
Sul pavimento, appena entrati, vediamo una lapide sepolcrale in marmo di botticino, di forma rettangolare con iscrizione incisa datata 1744 e uno stemma gentilizio nella parte superiore. Al di sotto del pavimento vi può essere dunque un ambiente sepolcrale.
La chiesa è conosciuta anche come la "Cappella Sistina dei poveri" e capiremo presto il motivo. Nella fase primitiva della costruzione, verso la fine del 1400 e entro il 1500, fu affrescata da Pietro da Cemmo o da pittori di ambito bresciano. Di quegli affreschi restano poche testimonianze, come I Dottori della Chiesa sulla volta del presbiterio (fig. 15) datati entro il 1500 e un lacerto di dubbia Annunciazione.
 
                                                                         Fig. 15
 
Pochi decenni più tardi, tra il 1532 e il 1534, si decise di affidare al pittore bresciano Girolamo Romanino (1454-1566 circa) l'esecuzione di nuovi cicli di affreschi e c'è da chiedersi come mai, dopo così poco tempo. Tuttavia alcuni ritengono che solo l'abside fosse affrescata, quando arrivò Romanino ed egli abbia quindi dipinto su pareti vergini. Dell'opera di Romanino rimane una buona parte, anche se non integrale. I nemici di questa chiesa furono infatti l'umidità [10] e l'incuria degli uomini. Come abbiamo già accennato, il Romanino dipinse anche la facciata esterna settentrionale con alcune scene di affreschi, che oggi non troviamo più in quella posizione perchè furono strappati nel 1878, prima delle demolizione del porticato. Fortunatamente alcuni frammenti sono stati recuperati e collocati su cavalletti attualmente esposti nella zona presbiteriale della chiesa. Si tratta dell'Adorazione dei Magi (o Corteo dei Magi).
Nel presbiterio, costituito dall'abside semicircolare, le pareti non hanno mantenuto affreschi, tuttavia abbiamo individuato alcune sinopie abbozzate attribuite a Romanino e un simbolo che riproduciamo in fotografia (fig. 16):
 
Fig. 16
 
Al Romanino furono ascritti anche gli affreschi della sacrestia (di cui sopravvivono alcuni lacerti strappati). Non è del tutto chiaro chi fossero i committenti del pittore; a parte il fatto che è stata anche avanzata l'ipotesi che egli si sia proposto, rimane la domanda: a chi? Alla comunità o alla Confraternita dei Disciplini (che però non è sicuro vi fossero)? [11]. Ad ogni modo l'artista era reduce da altri incarichi notevoli e soprattutto dal bel lavoro eseguito per il principe-vescovo Bernardino Clesio (o Cles) nel "Magno Palazzo" del Castello del Buonconsiglio a Trento e si presentò con adeguate credenziali. In seguito fu chiamato in diversi altri paesi della Valcamonica come Breno e Bienno. Ci si domanda perchè egli, che era già stato in Valle all'inzio della sua attività per poi scegliere ambiti più importanti, vi ritorni nel 1533, più maturo. Perchè "rinchiudersi" lontano dalle grandi città proprio nel travaglio della crisi umanistica e religiosa della seconda metà del Cinquecento? A Pisogne, paese reduce dalla caccia alle streghe, bisognava creare qualcosa che fosse alla portata del popolo da indottrinare secondo i dogmi ma senza rinunciare alla sua maniera di esprimere l'arte. "È proprio la piena coscienza con cui usa registri stilistici colti e popolari che è rivelatrice di autentiche inquietudini religiose, sue e dei suoi committenti, che chiedevano con urgenza di calare i fatti della storia sacra nell'esperienza quotidiana del popolo" (Lorenzi).
I temi principali affrescati nella chiesa della Madonna della Neve di Pisogne sono la Vita di Gesù Cristo e Profeti, Sibille e Veggenti.
La lettura del primo ciclo parte dall'Annunciazione (dipinta sull'arco del presbiterio, fig. 17), sorvegliata da Dio Padre dipinto al centro dell'arco (fig. 18), e si conclude alla Pentecoste (o discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli), dipinta sul fianco sinistro del presbiterio stesso.
 
Fig. 17
Fig. 18. Il Padreeterno dipinto sull'arcone del presbiterio: sarà un'altra illusione ottica ma ci sembra di ravvisare un volto barbuto tra le pieghe delle vesti (evidenziato nel cerchiolino). Che ne dite voi?
 
Abbiamo invece la conferma degli esperti per un "ripensamento" del Romanino in un altro dipinto, quello dell'Ascensione, dove si vedono due piedi avulsi dal contesto, all'altezza delle mani giunte della Madonna che assiste alla scena della salita al Cielo di Cristo. Il particolare è considerato una noncuranza dell'artista, come si legge in Silvia Conti: "Una noncuranza cui è da attribuire anche il curioso particolare constatabile nella parete di destra nella terza campata, dove è raffigurata la Salita al cielo, nella quale si trova il segno di un evidente pentimento sul quale il pittore non ha praticato il benche minimo tentativo di correzione: nella linea di mezzeria longitudinale, all'altezza delle mani della Vergine, c'è la traccia evidente di un paio di piedi abbozzati con il solito colore rossastro ma non colorati. Probabilmente da lì doveva partire un'altra figura, ritenuta poi inopportuna" (riferimenti in nota 19).

Le scene della Vita di Cristo sono stese in due ordini: il primo dispiegato in rettangoli nella parte inferiore delle tre campate e a destra e a sinistra della controfacciata; l'altro si dispiega nella parte superiore in sei grandi triangoli curvilinei. La controfacciata è occupata da un gigantesco affresco avente come tema la Crocifissione (fig. 19), che va ammirato e osservato attentamente (in questa sede non è possibile approfondire).

 
Fig. 19
Fig. 20. La Maddalena avvinghiata alla Croce nella scena della Crocifissione
 
Sapevamo dalla letteratura che Romanino non si era attenuto alla sequenza cronologica classica dei fatti narrati nei Vangeli, sentendosi libero di esprimere la propria arte anticlassica, sua per natura ma maturata con le esperienze veneziane e grazie a committenze illuminate per le quali aveva già lavorato, adattata ai fruitori locali (popolani) ma pur sempre con alta espressività e vibrante intensità. La lettura degli affreschi può iniziare dalla parte inferiore, in senso antiorario dall’angolo a sinistra dell’arco santo: la Cena in casa del Fariseo, Cristo davanti a Pilato, la Flagellazione, l’Incoronazione di Spine, l’Ultima Cena (fig. 21), la Lavanda dei piedi (fig. 22) e l’Ingresso in Gerusalemme. Superiormente, partendo dall'angolo a sinistra dell'arco santo e procedendo nel medesimo senso antiorario, incontriamo Cristo nell’Orto degli Ulivi, l’Ecce Homo, la Salita al Calvario, la Crocifissione, la Resurrezione, la Discesa al Limbo e l’Ascensione.  Sull'arco santo, troviamo la Deposizione al Sepolcro (sotto Maria Annunciata) e - a sinistra-  la Discesa dello Spirito Santo (sotto l'Arcangelo Gabriele). Questi facevano da pala a due altari successivamente eliminati.
L'Ingresso in Gerusalemme dovrebbe venire prima delle altre scene della Passione.
 
Fig. 21, l'Ultima Cena di Girolamo Romanino: perchè alcuni Apostoli, anzichè guardare verso Gesù che istituisce l'Eucaristia, sembrano distratti da qualcos'altro? Uno di essi, a sinistra, sembra se ne stia andando nella direzione opposta. Non lo si vede in volto, l'artista glielo coprì con folti capelli e lunga barba; un apostolo gli posa la mano sul petto, dando l'impressione di volerlo fermare e farlo tornare sui propri passi. Giuda, dal lato opposto del tavolo, guarda la scena. Il gruppetto di Discepoli a destra sembra consultarsi; la figura di Gesù è Suprema, con lo sguardo fisso sul fedele, mentre Giovanni (dalla capigliatura bionda) posa la testa sulla Sua spalla e ha gl occhi chiusi
Fig. 22. Anche nella raffigurazione della Lavanda dei piedi, il gruppo di Discepoli a sinistra guarda dalla parte opposta al fulcro della scena, come distratti. Il verismo reso dal Romanino è impressionante
 
Nella parte superiore della parete Sud si osservano l'Ascensione, la Discesa al Limbo (fig. 23) e la Resurrezione, ma la sequenza cronologica dovrebbe essere un'altra (la Discesa nel Limbo precede l'Ascensione, non la segue). Questo episodio non si trova, tuttavia, in nessuno dei Quattro Vangeli ma è presente nella tradizione  extra-biblica come nel Vangelo Apocrifo detto “di Nicodemo” (21-24) e nella “Legenda Aurea” nel capitolo sulla Resurrezione del Signore e si basa su miti della salvezza precristiani. Si racconta che Gesù, al momento della resurrezione, abbia per prima cosa liberato dal dominio della morte i giusti morti prima di lui, dopo essersi recato egli stesso nel regno dei morti (nell’inferno o nel limbo, da interpretare come oltretomba o Ade). Il significato è l’universalità della redenzione di Gesù, la quale agisce nel tempo anche a ritroso e, attraverso essa, tutti possono essere salvati. [12].
 
 
Fig. 23. Dal fianco di un monte scavato da un antro fosco, Cristo fa uscire Adamo mentre accanto sembra tremare, nella sua nudità, Eva. Altri volti di personaggi veterotestamentari si palesano dietro il capostipite dell'umanità. In alto stanno i demoni dalle mostruose sembianze e ritratti da Romanino in volteggi convulsi e rabbiosi: uno dà fiato a un corno, un altro regge un'asta che tenta di scagliare contro Cristo. A terra si notano assi spezzate. La tradizione narra che: "Cristo si presentò accompagnato dagli angeli, inutilmente intimando a Satana di farlo entrare. Le porte dell’inferno/ mondo sotterraneo vennero spezzate con l’albero della croce, i demoni furono sconfitti e i morti liberati dalle catene. Adamo fu resuscitato e, alla testa dei patriarchi, dei santi padri e dei profeti d’Israele, fu strappato da Cristo alle fauci dell’inferno. Tutti uscirono in un corteo trionfale"
 
A proposito di questo programma iconografico non strettamente consequenziale, i vari critici dell'arte e i teologi hanno fornito spiegazioni diverse, ricordando che non si tratta ovviamente di un caso isolato, perchè anche altrove si ritrova una sequenza non del tutto canonica. Si tenga inoltre presente il periodo in cui Romanino si trovò ad operare e per chi. Certo è che gli artisti a quel tempo (ma già da molto prima) attingevano sia dai Vangeli Sinottici sia dagli Apocrifi, e da scritti avevano iniziato a circolare da qualche decennio, come la "Biblia Pauperum", o la serie di incisioni di Dürer della Grande e Piccola Passione (1497-1510). C'è chi ha individuato una lettura coerente dividendo le tre campate dell’aula di Santa Maria della Neve in tre nuclei distinti in un percorso tematico che parte dall’arco santo, luogo della predicazione, e attraversa lo spazio della chiesetta fino alla controfacciata. La prima tappa, con arco santo e prima campata, alluderebbe ai temi dell’annuncio e dell’attesa, abbracciando Annunciazione, Pentecoste, Deposizione, Ingresso a Gerusalemme, Cristo nell’Orto degli Ulivi; la seconda campata rappresenterebbe la caduta dell’umanità nel disordine religioso (o per usare un tema allora scottante, l’eresia) con l‘Ecce Homo, Pilato, la Discesa al Limbo; la terza, infine, farebbe capo al tema dell’esaltazione della Croce come strumento di redenzione dal peccato attraverso la Passione di Cristo, con scene che vanno dalla Cena in casa del Fariseo alla Resurrezione [13].
 
  • Profeti, Sibille, Veggenti
A sorvegliare tutte le scene e perfino quasi volendo dialogare con esse e con il visitatore stanno, più elevate, le figure dei Profeti e delle Sibille (8 per ciascuna campata degli uni e delle altre più otto veggenti) sotto le quali - per il rastremarsi dello spazio -stanno dei putti dipinti prevalentemente a monocromo (fig. 24). Sotto ciascuno dei tre archi trasversali, entro ovali allungati, si trovavano in origine i Dodici Apostoli (?), di cui rimane ben poco, così come di altri tondi con profili sulle lesene. Bisognerebbe trascorrervi giorni interi per scoprire la ricchezza dei particolari, ma dobbiamo limitarci a parlare di qualcosa che ha catturato la nostra attenzione: i cartigli che reggono tra le mani i Profeti e le Sibille. Perchè sono stimolanti? Perchè se in parte si riconosce chiaramente che furono scritti in latino, a volte con il nome del Profeta o della Sibilla e anche il loro vaticinio, altri riportano caratteri e segni incomprensibili. Come mai? Cerchiamo di capire meglio il contesto culturale generale e poi locale in cui questi soggetti furono realizzati. Anzitutto, perchè Profeti e Sibille? E' normale trovarne nelle chiese cristiane, sia chiaro.
Se i Profeti sono presenti nel Vecchio Testamento, le Sibille no, appartenendo al mondo pagano. Dai tempi antichi, nel cristianesimo primitivo, si cercò però di trovare delle concordanze tra il mondo pagano e quello cristiano. Si interpretò come profetica la IV egloga di Virgilio, composta nel 40 a.C., volendovi scorgere la nascita e la missione di Gesù Cristo. In quel testo Virgilio riprese un oracolo che sarebbe stato pronunciato dalla Sibilla Cumana, profetessa romana di origini orientali. "Citando una vergine senza attribuirgli un chiaro ruolo, descrisse la nascita "dal cielo di una nuova progenie", un bambino "cara prole degli dei, alto rampollo di Giove", che instaura un periodo di pace per la società e per la natura, e sotto la cui guida scompaiono "le tracce della nostra colpa". Il contesto storico immediato può riferirsi all'attesa, nel dominio romano del 40 a.C., della nascita di un bambino e di un connesso periodo di pace e benessere, ma secondo la tradizionale lettura cristiana del "senso più pieno" la poesia può essere riferita alla nascita di Gesù" [14].

Varrone, nel I secolo d.C., aveva fornito i nomi di dieci Sibille [15], che lo scrittore cristiano Lattanzio (IV secolo d.C.) ha tramandato nel trattato Divinae Istitutiones. Esse sono:

Sibilla Persica, Sibilla Libica, Sibilla Delfica, Sibilla Cimmeria, Sibilla Eritrea, Sibilla Samia, Sibilla Cumana, Sibilla Ellespontina, Sibilla Frigia, Sibilla Tiburtina. E' interessante che le Sibille non siano state rigettate dal cristianesimo, che ha anzi conferito loro un ruolo importante: quello di annunciare presso i pagani la venuta di Cristo [16]. Nel Medioevo, dimenticati gli oracoli, le Sibille si ridussero a tre (la Cumana, l'Eritrea e la Tiburtina); non ne servivano più tante perchè la funzione annunciatrice potevano farla anche loro; queste tre sono le sibille ancora oggi maggiormente note. Nel XIII secolo era raro che venissero raffigurate mentre verso la metà del XV secolo ricompaiono numerose, accompagnate da cartigli recanti i testi delle profezie. Nel 1465 le "Institutiones" di Lattanzio fu il primo libro ad essere stampato in Italia, a Subiaco, ed ebbe sei ristampe in poco più di dieci anni. Ecco perchè, dopo tale periodo, gli artisti (e/o i committenti) riscoprirono il tema delle Sibille, da accompagnare quasi sempre a quello dei Profeti biblici.

Nel 1481 fu pubblicato a Roma un trattatello intitolato Discordantie sanctorum doctorum Hyeronimi et Augustini: Sybillarum et Prophetarum de Christi vaticinis del frate domenicano Filippo Barbieri, che aumentò molto la popolarità delle Sibille (ne è prova la profusione con cui furono raffigurate, taNto nelle chiese importanti quanto in quelle popolane). "All´interno dell´opera è presente un trattato indirizzato integralmente ai detti delle Sibille e dei Profeti. L´innovazione del Barbieri, che enumera dodici Sibille, si propone come summa e riforma della tradizione antica oracolare, ascrivendo alle Sibille motti di inequivocabile derivazione cristiana, rafforzata dall´associazione con i Profeti canonicamente riconosciuti dalla dottrina della Chiesa, e offrendo un testo guida per le raffigurazioni pittoriche, offrendo dei modelli figurativi e descrittivi ben definiti" (Mazzei, Annarita " L´iconografia della sibilla tra quattrocento e cinquecento: dalla tradizione alla revisione", Il Foglio dell'Arte, 2014). Nel rappresentarle, gli artisti accostarono alle Sibille i cartigli contenenti i testi degli oracoli precedentemente noti in Lattanzio, con altri due che erano stati appositamente allestiti per due nuove Sibille, Europa e Agrippa. "Le sibille, giunte al numero finale di dodici, furono considerate dalla chiesa d'occidente delle figure anticipatrici dei profeti dell'Antico Testamento. La loro codificazione iconografica prevede un attributo comune per tutte, i cosiddetti "libri sibillini" (raccolte oracolari) e un oggetto particolare per ognuna: per la sibilla persica un serpente e un lume, per la libica (o africa) una torcia, per l'eritrea un giglio, per la cumana una ciotola, per la Samia una culla, per la cimmeria una cornucopia, per l'europea una spada, per la tiburtina una mano mozzata, per l'agrippina una frusta, per la delfica una corona di spine, per quella d'Ellesponto chiodi e croce, per la frigia croce e vessillo della resurrezione" (v. Le Dodici Sibille e la nascita di Dio in Terra, traditio.it).

Fig. 24

Ci servirà per capire se riconosceremo le Sibille affrescate da Romanino in questa chiesa, di cui vediamo alcune immagini a corredo del testo. Purtroppo Romanino, da quello che si nota, non inserì il loro attributo, ma queste meravigliose figure sembrano veramente dialogare con il visitatore e qui e là mostrargli curiose pose delle mani, dei corpi, dei cartigli svolazzanti, come invitandolo a seguirle, ad ascoltarle, a spingersi lassù elevandosi dal piano materiale. Sembra di rivedere il pittore che apriva la porta, entrava in quest'aula, posava i suoi strumenti di lavoro, saliva sulle impalcature e rimirava l'opera lasciata il giorno prima. Non ci sorprenderebbe che parlasse con le sue opere d'arte: con Ester, con Salomone, con Adamo, con la sibilla Cumana, con il profeta Isaia...Sono ancora tutti lì con l'espressività che gli diede per sempre il Romanino. Lo immaginiamo ancora, mentre scendeva dal ponteggio, preparava i colori, sceglieva i pennelli e risaliva, iniziando un'altra personale immersione nei temi sacri, che pennellava vigorosamente. Ne eseguì dodici, di Sibille, tante quanti i Profeti; si leggono bene i nomi della Cumana (ritratta con un turbante in testa), dell'Eritrea (vestita d'azzurro) e della Libica (dal portamento elegante, con acconciatura trattenuta da una cuffietta), si presumono quelli della Frigia e della Fenicia (fig. 25) mentre per le altre è impresa ardua.

Fig. 25. Sibilla Fenicia (che nell'elenco classico non esiste. A quale sibilla corrisponde?). A nostro avviso tra le più riuscite figure affrescate da Romanino in questa chiesa: si noti la posa dinamica, il drappeggio delle vesti (non sontuose ma portate con dignità), i piedi scalzi, le maniche del corsetto sollevate fino ai gomiti, le gote rosse, la testa voltata all'indietro...

 

Scrive il Vezzoli: "Per i nomi delle altre, per gli oracoli e le profezie, è sovente vana fatica, non essendosi curato gran che il Romanino di dare forma precisa agli scritti, bastandogli spesso disporre le lettere dell'alfabeto in sequenze ornamentali, senza un senso preciso, con frammezzate sovente lettere d'un alfabeto tutto suo, che sta a mezza via tra il greco, l'ebraico e il latino" [17]. Il Vezzoli ritiene che Romanino non avesse accanto qualche erudito che lo guidasse nella compilazione corretta dei cartigli ma allora perchè alcuni sono chiari e corretti e altri no? Anche perchè, tra l'altro, Romanino aveva già dipinto lo stesso tema ad Asola "con maggior rispeto ai nomi e ai testi", asserisce il Vezzoli. Perciò non crediamo sia una questione di erudizione. Riprenderemo il concetto a fine testo. E' curioso andare alla ricerca di quei caratteri definiti da alcuni "misteriosi", "Indecifrabili", "enigmatici". E' una ricerca che ci riserviamo di continuare a livello paleografico, per giungere a delle conclusioni chiarificatrici.

I Profeti rappresentati dal Romanino all'interno di S. Maria della Neve di Pisogne riprendono forse qualcosa di quelli affrescati all'esterno nei sottarchi da un artista a lui precedente; Romanino sicuramente vide quei soggetti. Ciascuno dei Profeti è accompagnato, come le Sibille, dal proprio cartiglio e di tutti si può leggere il nome ed è stato riscontrato qualche errore (Giona avrebbe le parole appartenenti a Gedeone). Ma cerchiamo di fare un ripasso anche in merito ai Profeti. "Profeti sono detti quei personaggi che, per ispirazione divina, sono in grado di predire eventi futuri". A queste figure molto importanti sono intitolati sedici Libri nel Vecchio Testamento; quattro Libri sono dedicati rispettivamente a Isaia, Geremia, Daniele ed Ezechiele (considerati i Profeti "maggiori") e dodici ai Profeti "minori": Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia. A questi se ne aggiungono altri, come Elia, Abramo, Mosè, Davide e Giovanni Battista.

Generalmente l'iconografia dei profeti è quella del mezzo busto oppure in piedi, vestiti con tunica e pallio, con sulle spalle gli apostoli, protagonisti del Nuovo Testamento (a ciascun Apostolo era generalmente attribuito un articolo del Credo; ad essi facevano contrapposto altrettanti profeti). Molto frequente trovarli entro medaglioni, come all'esterno di questa chiesa. All'interno invece i Profeti sono a figura intera, accoppiati ad una Sibilla e probabilmente ad un Apostolo che era ritratto nei tondi sottostanti. "Attributo fisso dei Profeti è il libro o il cartiglio con le prime parole di un passo biblico che li identifica, spesso scelto in riferimento alla futura venuta di Cristo. Alcuni di loro, sulla scorta di Mosè, hanno sul capo le corna divenute simbolo di sapienza. L’intento tipologico, cioè di mostrare come nel Vecchio Testamento fossero già prefigurati gli eventi narrati nel Nuovo, guida tutta l’iconografia che riguarda i profeti, detti, per questa ragione, precursori. Le loro storie sono infatti costantemente lette quali “figure” cristologiche" [18].

 

Fig. 26. La Sibilla Libica e il Profeta Malachia (si leggono bene entrambi i loro nomi)

Fig. 27. Il Profeta Abacuc

Fig. 28. Il Profeta Osea, straordinaria raffigurazione connotata da una posa di grande tensione, con il capo completamente ruotato verso la parete, tanto che è impossibile vederne le sembianze

 

Tra le figure veterotestamentarie troviamo anche Adamo, Abramo, Ester, Re Salomone e la Regina di Saba (figg. 29 e 30), che sembra una donna moderna, emancipata e sensuale; Salomone è ritratto tutt'altro che fieramente, senza corona, drappeggiato da un telo rosso che lo ricopre soltanto parzialmente. Salomone, esempio di saggezza e sapienza, è ritratto dal Romanino con in mano il cartiglio che inneggia al Cantico dei Cantici, attribuito al re d'Israele ed è uno degli ultimi testi accolti nel canone della Bibbia.
 
Figg. 29 e 30: Re Salomone e la Regina di Saba
 
Si ritiene che Romanino abbia iniziato a dipingere dalla volta della navata, per poi scendere sulle pareti. I critici hanno riscontrato una differenza di mano tra le figure della volta e quelle parietali, tanto da pensare al ricorso di aiuto o allievi del Romanino ma, fino ad ora, non ne è stato trovato riscontro certo. E' stato rilevato, poi, che le figure dei Profeti e delle Sibille dipinte nella prima vela sono più definite delle altre, e i loro cartigli sono quelli più coerenti. "Le tre campiture di vele si differenziano tra loro per stile pittorico. Vi sono raffigurati sibille e profeti, quelli della prima hanno un'esecuzione accademicamente molto pregevole ed anche i cartigli che tengono fra le mani hanno un senso compiuto; nelle volte seguenti le figure vanno via via deformandosi ed assumono una valenza espressionistica nelle torsioni esasperate dei corpi, i cartigli riportano oltre al nome della sibilla o del profeta alcune lettere risultate indecifrabili" [19]. Proprio su questo aspetto approfondiremo la nostra ricerca e ne daremo prossimamente un aggiornamento.
 
  • Pubblicato in questo sito il 10/03/2020 da Marisa Uberti (testo e foto non possono essere copiati/incollati senza autorizzazione e/o citazione delle fonti) 
  • Argomento correlato in questo sito: I segreti di S. Maria in Silvis a Pisogne
https://m.duepassinelmistero2.com/studi-e-ricerche/arte/italia/lombardia/i-misteriosi-cartigli-del-romanino-nella-chiesa-della-madonna-della-neve-a-pisogne/

[1] Ms Annali di Brescia dal 1030 al 1530, in BQBS: ms BQ. C.I.3, riportato in A. Giorgi "La Fondazione R. S. A. Santa Maria della Neve di Pisogne tra passato e presente", Pisogne-Darfo, Fondazione S. Maria e CRAAC, 2007
[2] Si tratta dei verbali della Visita Pastorale che l'Arcivescovo di Milano, in qualità di Legato Apostolico, effettuò nl 1580 alle chiese della parrocchia di Pisogne, inserita nel vasto programma di visite a tutte le chiese della Diocesi di Brescia (e non solo). Egli fu preceduto dai sopralluoghi dei suoi emissari, che avevano il compito di ispezionare le chiese e i loro arredi, chi le reggeva, il loro sostentamento, le rendite, i parrocchiani, ecc. Sulla scorta delle informazioni raccolte e debitamente documentate per iscritto, il Borromeo provvedeva a visitare personalmente le singole chiese e ad impartire i suoi "decreti particolari", cioè disposizioni che prevedevano anche grossi mutamenti architettonici, con abbattimento di altari, pareti, cripte, ecc. se ritenuti non conformi a quanto previsto dal Concilio Vaticano del 1576. Spesso si sono perse così importanti opere artistiche, tuttavia talvolta le disposizioni borromine non furono eseguite, per vari motivi. Per quanto concerne Pisogne, vedasi Santa Maria de Nemor (a. Acta visitationis, ff.553v-555v, Brescia, XXVIII, ff.197-200; b. Decreta particularis, ff.707v-713v), in "Visita Apostolica e Decreti di Carlo Borromeo alla Diocesi di Brescia", n. IV, a cura di Angelo Turchini e Gabriele Archetti, ed. Brixia Sacra, Associazione per la Storia della Chiesa Bresciana, Terza Serie, Anno IX, N. 1- Maggio 2004
[3] Nel 1789 il governo della Serenissima Repubblica di Venezia soppresse il complesso conventuale e lo vendette alla famiglia Mercanti che lo cedette alla Vicinia pisognese. In questo periodo la chiesa venne utilizzata come magazzino, l'interesse verso il monumento si ebbe solo nella metà del XIX secolo e i primi interventi di restauro iniziarono  nel 1878. Per una esaustiva e interessantissima trattazione si veda il testo citato alla nota 1, digitalizzato su Academia.edu
[5] Il copricapo del personaggio a sinistra ci ricorda un po' il "petaso",  caratteristico cappello alato di Hermes/Mercurio
[7] Gabriele Rosa (1812-1897), patriota e scrittore, che si dichiarò il primo ad avere dato notizia di questo dipinto nel 1846 (v. qui)
[8] Vezzoli, Giovanni "Gli affreschi di Girolamo Romanino in Pisogne. Chiesa di S. Maria della Neve", Morcelliana, Brescia, 1965, p. 6
[9]  Che consiste nell’orientare i luoghi di culto verso la direzione del punto dell’orizzonte in cui il Sole sorge, ed in particolare il criterio “Sol Aequinoctialis”, che utilizza il punto di levata dell’astro diurno quando la sua declinazione è pari a zero, cosa che avviene solamente agli equinozi. Tuttavia questa chiesa, nella parte orientale, si ritrova la montagna e le finestre dell'abside sono troppo basse
[10] Proveniente sia dal basso che dall'alto. Dalla strada in pendenza veniva convogliata l'acqua piovana che andava ad infiltrarsi contro i muri perimetrali; inoltre la copertura, in certi periodi, si era guastata e lasciava probabilmente filtrare le acque meteoriche
[11] In una polizza d'estimo del 1534 Romanino si dichiara creditore di 150 lire planette verso "li homini da Pisogni" (Bibl. Queriniana, Archivio storico civico)
[14] Profezia di Virgilio in Cathopedia
[15] Ricorderemo il nostro viaggio a Delfi, in Grecia, dove abbiamo avuto modo di ripercorrere le gesta della famosa Pizia, sacerdotessa di Apollo, una donna in carne e ossa in grado di andare in estasi con opportune metodiche, finchè la divinità entrava in lei; allora la pizia pronunciava complessi responsi che dovevano poi essere interpretati dai sacerdoti. Col tempo “sibilla” diventa sinonimo di donna che esercita capacità profetiche e il numero di profetesse continuò a crescere, fino a che storici e studiosi decisero di compilare degli elenchi o comunque creare ordine all’interno della materia sibillina. Uno di questi fu Varrone (Tea Fonzi, "Oracoli, Sibille e vesti"). Ma perchè le Sibille erano così tante, se la sacerdotessa di Apollo era una? Perchè molte città volevano appropriarsi della sua provenienza: Cuma, la Libia, la Persia, l'Eritrea. "Di qui deriva il moltiplicarsi di figure femminili corrispondenti a questo nome, tra le quali le più celebri furono: Erofile, detta sibilla eritrea, che profetizzò sulla guerra di Troia, e la sibilla cumana, giunta in Italia meridionale dall'Oriente, che accompagnò Enea agli inferi e fu amata dal dio Apollo (Sibille, in Artedossier). Per una trattazione molto approfondita si veda Giulia Giustiniani, «Gli esordi critici di Emile Mâle: la tesi in latino sulle sibille», Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge [En línea], 125-2 | 2013, Publicado el 06 marzo 2014, consultado el 09 marzo 2020. URL: https://journals.openedition.org/mefrm/1527; DOI: https://doi.org/10.4000/mefrm.1527)
[16] "Questo passaggio è possibile perché tra coloro che hanno scritto oracoli attribuendoli alla sibilla c’erano Ebrei che vivevano ad Alessandria d’Egitto, che quindi conoscevano la cultura greca ellenistica ma erano pur sempre legati a tematiche monoteistiche e apocalittiche. Questi temi si trovano negli oracoli sibillini e sono facilmente utilizzabili anche dai primi Padri della Chiesa. I Padri traggono questi oracoli (detti giudaico-ellenistici) dal più ampio insieme di testi attribuiti alle sibille e li rielaborano integrandoli perfettamente nella cultura cristiana" (Tea Fonzi, op. cit. alla nota precedente)
[17] Vezzoli, Giovanni, op. cit., p. 10
[18] Profeti in Artedossier
[19] Conti, Silvia,  Come dipingeva il Romanino  in "La via del Romanino. Dal Sebino alla Valcamonica". Dossier interessante, in più sezioni, che esplora i vari aspetti della vita e delle opere di Girolamo Romanino