I ruderi della chiesa di S.Cosmo (o dei SS. Cosma e Damiano)
(report e immagini di M.Uberti)

 (sez. Valle dello Jato)

 

Raggiungere questo angolo di paradiso non è stato esattamente facile, nonostante non disti molto dall'ingresso del Parco Archeologico di Monte Jato. Solo grazie alla tenacia di due caparbi sancipirellesi come il signor Gaspare e il sig. Vincenzo (che ringrazio infinitamente), del Gruppo Archeologico Valle dello Jato, la meta è stata raggiunta! Il percorso è invaso attualmente dalle sterpaglie e con l'automobile è stata una lotta. Gli ultimi metri li abbiamo percorsi prudentemente a piedi. Ma tutta la fatica dei nostri eroi è ampiamente stata ripagata dall'intensa emozione che ho provato quando ho scorto le rovine sotto la roccia, mentre dalla parte oppsta si è profilata una superba vista che spazia su tutta la Vallata circostante e arriva fin quasi a lambire il mare, in lontananza.

In questo anfiteatro naturale è incastonata l'antica chiesa di San Cosmo. Anzi, dei SS. Cosma e Damiano, i due santi medici che, secondo una leggenda diffusa a San Giuseppe jato, avrebbero trovato rifugio proprio qui, in questa grotta naturale, sulla quale fu solo in seguito impiantato un santuario.

Furono i monaci basiliani a scoprire l'anfratto per stare in ascesi contemplativa, com'era loro usanza. Già in Puglia avevo visitato grotte di questo genere, poi inglobate in edifici chiesastici. Qui però la grotta si vede ancora perchè giace tutto in rovinoso abbandono; nonostante tutto, da queste rovine promana un fascino mistico di rara bellezza, una sensazione estatica di trovarsi sospesi tra cielo e terra. E'come se lo spiritus loci non fosse mai svanito ma anzi si nutra dell'isolamento e della solitudine.

Un luogo ritenuto sacro da sempre, alimentato dalla presenza di una sorgente naturale d'acqua. Un luogo anche di morte, poichè vi si seppellivano i defunti prima della costruzione del nuovo cimitero di S. Cipirello. Il trasporto (in spalla) della salma era effettuato da un becchino che, a piedi, doveva percorrere lo stretto sentiero dal paese all'eremo.

Il santuario-eremo si trova a circa 3 Km dal paese, a mezza costa sul versante meridionale del Monte Jato. In anni recenti è stato attuato un restauro conservativo da parte della Sopritendenza ai Beni Culturali, tuttavia ci sarebbe ancora tanto da fare per evitare il definitivo declino del complesso architettonico.

Gaspare e Vincenzo mi raccontano che fino a pochi decenni fa gli abitanti dei due paesi (S. Giuseppe Jato e S. Cipirello) salivano in processione fino a questa chiesa, per festeggiare degnamente la Festa di S. Cosmo (il secondo lunedì dopo la Pentecoste), a partire dalle prime ore del mattino. Sulla spianata antistante la chiesa, numerosi venditori ambulanti, con le loro bancarelle offrivano dolciumi, ceci e semi abbrustoliti, e si davano giocattoli ai bambini. Sul sagrato venivano allestite le "baracche" con il cibo: insaccati, pane, vino ed altro, per una scampagnata allietata da canti e danze, fino a pomeriggio inoltrato. Questo culto poi è scemato fino a scomparire. Perchè?

Mi sembra di udire il riechieggiare del frastuono festante ma sento anche lo stridore con l'assoluta quiete e il silenzio che respiro qua sopra.

L'edificio eretto a ridosso della roccia era il piccolo convento dei monaci, che appare scoperchiato, senza vetri alle finestre nè porte. Tra le sterpaglie che crescono all'interno, non più protetto dal tetto, giacciono frammenti di lastre tombali in attesa di essere forse riassemblate nella loro posizione originaria, sul pavimento della chiesa vera e propria. Quest'ultima non ha più nè porta nè copertura, è in balìa degli agenti atmosferici, eppure conserva ancora frammenti di affreschi tardo settecenteschi, uno in particolare ben conservato e che rappresenta Tobia guidato dall'angelo.

Le mie due guide ricordano bene com'era la chiesa, fino ad alcune decine di anni fa: aveva dei gradini in pietra (ancora visibili) all'ingresso, le porte a riquadri con stemma sul portale, che guarda a sud e che corrispondeva all’arco centrale.

La chiesa aveva due navate ed era orientata sull'asse E-O. Una parete sfruttava la roccia del monte, per il resto fu impiegata la pietra locale. Oggi si vedono due delle quattro colonne che dovevano avere le navate, con capitelli disuguali, uno dei quali  di stile corinzio composito che è stato desolatamente trafugato di recente; le colonne sostenevano tre archi a tutto sesto.

I due residui di affreschi nella parte dell'altare, di cui resta poco, sono protetti da un pannello trasparente: stando all'interpretazione ufficiale, uno dei dipinti raffigura l’Arcangelo Raffaele che tiene per mano un bambino (Tobiolo) indicandogli la Madonna della Provvidenza, un gabbiano in volo assiste alla scena, mentre il Padre Eterno benedicente appare in alto. Tobia e Raffaele sono  legati alle guarigioni (v. Tobia 6.4,9;11.8), per cui niente di più facile che l'acqua che sgorga dalla roccia fosse ritenuta miracolosa e taumaturgica. Dietro l'altare è nascosto un antro angusto e buio, che Gaspare e Vincenzo conosco bene: qui sgorga (ancora oggi) l'acqua dalla roccia. Un sistema di canalizzazione in terracotta murata nella roccia, di cui si documentano chiare tracce, convogliava l'acqua fino in chiesa, dove veniva raccolta in un piccolo fonte ricavato nella parete rocciosa. Probabilmente c'era anche un pozzo.

Un luogo veramente incredibile.

Il pianoro è delimitato da un bastione Normanno-Svevo a semicerchio; su di esso i monaci avevano collocato una serie di sedili, probabilmente provenienti dall'antico Teatro greco, alcuni disposti a U sulla punta più sporgente, dov'è massima e paradisiaca la visuale sull'areale circostante. Qui i monaci venivano a pregare in contemplazione, immersi in una natura incontaminata. Oggi si deve prestare attenzione ad avvicinarsi perchè una parte del bastione è franato.

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Argomento: I ruderi di S.Cosmo

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