La misteriosa Scarzuola

                                                           Montegiove, frazione di Montegabbione (Terni)

                                                                                       Marisa Uberti

 

                           

 

  • Montegiove e l’origine della Scarzuola

 

Arriviamo a Montegabbione un po’ prima dell’ora prevista per la visita alla misteriosa Scarzuola. Il paese sorge a qualche km dalla sua frazione Montegiove, dove essa è ubicata. Approfittiamo per visitare i due borghi medievali che, di domenica mattina presto, sembrano ancora immersi in un’atmosfera trasognante. Il Castello di Montegiove, in posizione elevata, domina il paese e la vallata. "Montegiove", un toponimo interessante e si narra che derivi dal fatto che la componente rocciosa, lavica e magnetica, attiri fulmini e saette, scagliati dal dio Zeus, Giove romano! Così devono aver pensato le antiche popolazioni che gli diedero il nome. Un cartello apposto al limitare del Castello avverte che le visite sono possibili esclusivamente su prenotazione. Non è la nostra meta odierna ma vogliamo ricordare che qui prese avvio, se così si può dire, il progetto della “Città esoterica” dell’architetto Tomaso Buzzi (1900-1981),

in un giorno del 1956, parlando all’amico Paolo Misciattelli, a quel tempo proprietario del maniero di Montegiove, confidò di aver visto un conventino ad Acapulco, in Messico, e di essersene innamorato. “Vorrei possedere un luogo così!”, gli disse. Il marchese Misciattelli gli parlò allora di un cenobio abbandonato che era in vednita, nella selvaggia campagna di Montegiove. Buzzi prese sul serio le parole dell’amico perché in breve diventò il proprietario della “Scarzuola”, un ex convento francescano del XIII secolo, isolato dal resto del mondo. Secondo la tradizione, S. Francesco d’Assisi in persona vi avrebbe fondato nel 1218 una primitiva capanna utilizzando un’ erba che cresce nell’acqua, la “scarza” (donde il nome “Scarzuola”). La scelta del luogo pare non fosse casuale: nel piantare una rosa e dell’alloro, sarebbe scaturita dalle mani del santo una sorgente di acqua taumaturgica, indispensabile alla vita, specie in quel deserto selvatico! Inoltre, sembra che esistesse l’affresco di una Crocifissione in quella zona, chiamata Contrada di Colle Pornellese (forse si trattava di una piccola edicola votiva posta ad un incrocio di sentieri?).

Nella capanna di scarza il poverello di Assisi si ritirava in preghiera e in seguito alcuni suoi discepoli eressero un cenobio, che si ingrandì fino a diventare un’abbazia, con una chiesa, le celle monastiche, la biblioteca, una peschiera, un frutteto, l’orto e l’occorrente per lavorare e sostentarsi. Ma non costruirono tutto da soli: l’aiuto venne dal nobile Rainero IV (Nerio) di Bulgaruccio dei conti di Marsciano, proprietari del castello di Montegiove e feudatari del luogo. Nel 1282, per celebrare il passaggio di Francesco d'Assisi, Nerio ottenne il permesso dal vescovo di Orvieto di costruire una chiesa con oratorio nel punto in cui esisteva la leggendaria capanna di scarza.

I proprietari erano dunque gli stessi conti del castello di Montegiove mentre i Frati Minori Osservanti erano gli affidatari. Il cenobio non venne dedicato a S. Francesco ma alla SS. Annunziata e divenne luogo di sepoltura (oltre che dei frati) dei nobili di Montegiove, a partire dallo stesso conte Nerio (1290) che, rimasto vedovo nel 1283, pare si sia fatto egli stesso frate. Vi furono sepolti anche molti dei suoi discendenti fino al XIX secolo. Ebbe qui la tomba anche Todeschina (1483), figlia minore del condottiero mercenario Erasmo da Narni (detto il Gattamelata e moglie di Ranuccio dei conti di Marsciano). Possiamo dunque capire l’importanza assunta dall’abbazia e la cura con la quale fosse tenuta. Non era soltanto un “luogo dello Spirito” ma, a partire dalla fine del 1500 (passando ai frati francescani Riformati), divenne sede del noviziato e successivamente un professorio con lo studio di filosofia. L’importante biblioteca della Scarzuola annoverava pregevoli manoscritti - ora perduti - tra cui il "Christipatos" del M.R.P. Francesco Maria di Stilo ed altre opere ascetiche.

Stemma della Scarzuola apposto su una roccia che delimita il sentiero di fronte all’abbazia francescana, nonché Città Buzziana dal 1957

Una curiosità: se la chiesa venne eretta nel 1282, come mai un affresco data al 1240? Si tratta di una raffigurazione enigmatica: S. Francesco in lievitazione, cioè la facoltà di staccarsi dal suolo e librarsi in aria. Una delle “magie” che egli sapeva produrre, per intercessione Superiore o divina, come la comparsa delle stimmate, la rabdomanzia, ecc. Questo affresco è stato riscoperto di recente, essendo stato occultato da un intonaco dietro il coro ed è considerato una tra le più precoci rappresentazioni del santo assisano.

Si sa che il complesso monastico venne restaurato più volte a spese dei conti, ad esempio nel 1691 dal conte Ludovico Marescotti. Sul finire del XVIII secolo la proprietà passò ai marchesi Misciattelli di Orvieto, avendo i frati Minori lasciato il Convento per le disposizioni napoleoniche.

Dopo un primo rientro nell’abbazia, che era sempre sotto il giuspatronato dei nobili proprietari, i monaci dovettero andarsene nuovamente nel 1866 e il convento venne chiuso, mantenendo come custode un solo padre, Vittore, insieme ad un laico. Cessato il diritto di giuspatronato, nel 1876 il Convento venne riscattato e vi si ristabilì il noviziato. Il complesso conobbe alterne vicende finché nel 1921 fu stipulato un contratto di affitto tra il ministro della Provincia Serafica di Santa Chiara ed il pievano di Montegiove, con l'obbligo di tenere aperta la Chiesa al culto ed alla devozione dei fedeli e di farvi celebrare la S. Messa. Ma ciò non venne rispettato: la Scarzuola rimase disabitata e l'intera tenuta, con il terreno di pertinenza, venne venduta a Tomaso Buzzi il 26 dicembre 1957. Da questi è passata al pronipote Marco Solari, che attualmente è il proprietario della privata dimora.

  • Buzzi e la sua città ermetica

Risaliamo in auto, dopo aver constatato che anche la bella chiesa medievale di San Lorenzo a Montegiove, dislocata a breve distanza dal castello, è chiusa. La Scarzuola ci attende ma per cercare di comprendere il “movente” della città esoterica progettata e realizzata nell’ex convento francescano, vogliamo conoscere qualcosa di Tomaso Buzzi, il suo fautore. Egli non lavorò infatti su commissione di qualcuno, per quest’opera esoterica, ma per se stesso. Siccome  questa non è una villa, un palazzo, un teatro, un museo privato, ma tutte queste cose insieme e molto di più, la curiosità su chi fosse l'uomo Buzzi è legittima. Si conosce la sua attività professionale prima del ritiro alla Scarzuola, ma il resto è noto probabilmente soltanto a chi gli visse accanto intimamente. Ripetere qui la biografia del personaggio sarebbe stucchevole, poiché si possono trovare discrete descrizioni anche sul web (e suggeriamo di leggerle). Architetto, artista e designer di alto livello è quello che fu dal punto di vista lavorativo, ma tutto questo ad un certo punto gli parve stretto. Buzzi era supportato da una raffinata cultura, una solida intelligenza, una fervida creatività, una profonda passione verso l’arte antica, il ruinismo, il culto della “rovina” e di quanto è destinato a morire ma su cui si innesta un nuovo inizio. Il segreto della Vita e della Morte... forse questo cercava Buzzi dentro di Sé. Era capace di vedere la “forma”, l’anima delle Cose quando ancora sono informi, invisibili. E trarla fuori come un alchimista estrae lo Spirito dalla Materia.

Si può estrapolare qualcosa della sua personalità da quanto egli stesso ha tramandato: “Pur vivendo in mezzo alla gente del Bel Mondo quasi come uno di loro, e lavorando per i committenti in modo serio e professionale, in verità io vivo una vita di sogno, segreta, in mezzo alle mie carte, i miei disegni, le mie pitture, le mie sculture”. Che portò con sé nella sua nuova dimensione, la Scarzuola. Quando Buzzi vi arrivò, nel 1956-’57, questa doveva essere in abbandono da decenni; probabilmente erbacce infestavano il sagrato e il giardino, i muri invasi dalla vegetazione...La sorgente tuttavia, ritenuta taumaturgica, doveva attirare ancora le persone e i pellegrini. Il luogo, del resto, resta ancora oggi tra i più importanti luoghi francescani umbri.  

La chiesa, il chiostro, il monastero com’erano ridotti? Buzzi si comportò come avrebbe fatto un monaco, preservando il luogo di culto, e adattando il monastero ad abitazione per sé e la consorte. In questo spazio e nelle pertienenze (frutteto, stalle, ecc.) creò una prima città, quella sacra, in cui riecheggia il “sogno di Polifilo”. Costui è il protagonista di un’opera ermetica, “Hypnerotomachia Poliphili” (in italiano "La Battaglia d’amore in sogno di Polifilo”), che Buzzi aveva letto in giovinezza, certo non restandone indifferente ma affascinato per tutta la vita. L’opera, che non venne firmata e risultava di autore anonimo per evitare la censura, fu stampata nel 1499 dal tipografo Aldo Manuzio a Venezia. Ma il nome dell’autore in realtà c’era ed era stato codificato abilmente nelle iniziali dei 38 capitoli (elegantemente lavorate) sottoforma di acrostico, la cui decifrazione portò al nome di Francesco Colonna (POLIAM FRATER FRANCISCVS COLVMNA PERAMAVIT =fratello Francesco Colonna amò intensamente Polia). Cosa conteneva di tanto censurabile il volume, da occultare il nome dell’autore? Tra l’altro il tomo è arricchito da 196 splendide xilografie (attribuite in gran parte ad Andrea Mantegna ma senza certezza).

E’ il racconto di un  viaggio iniziatico svolto da Polifilo (“colui che ama la Moltitudine”) che ha per tema centrale la ricerca della donna amata, la ninfa Polia (letteralmente la “Moltitudine”),defunta.  Un viaggio che è metafora di una trasformazione interiore alla ricerca dell'amore platonico ma, nel profondo, è la ricerca della propria Anima. “Il tema del viaggio iniziatico richiama alla mente quello di un altro grande romanzo dell'antichità, le Metamorfosi di Apuleio. I continui richiami alle divinità dell'antica Roma fanno del romanzo un'opera dichiaratamente pagana…” (wikipedia). Polifilo, attraverso l’arte onirica, il sogno, vive esperienze incredibili popolate da architetture meravigliose e deacdenti, mostri, draghi, ninfe, foreste labirintiche e strani personaggi che lo aiutano a ritrovare Polia, che si trova dietro una delle tre Porte del destino. Riuscirà Polifilo ad individuare quella giusta? Riusciranno i due a vivere “felici e contenti”? Cioè Polifilo ricostituirá se stesso, al termine del suo percorso disseminato di prove? Come va a finire non lo diciamo ma l’opera é considerata il più celebre libro ermetico illustrato rinascimentale. Decisamente non un libro leggero o per ragazzi, che indica la predisposizione di Tomaso verso l’esoterismo, fin dalla giovinezza.

I suoi studi di architettura lo avvicinarono ai grandi geni artistici del passato, anonimi o celebri che fossero, e influenzarono la sua esistenza. Al momento opportuno, gli rese omaggio dimostrando di aver compreso l’Armonia Universale insita nelle loro costruzioni. Fu così che nel retrostante parco della Scarzuola, Buzzi  realizzò la propria città “buzziana” o la “Buzzinda”, quella profana, indecifrabile, esoterica  prendendo spunto proprio dalla Hypnerotomachia Poliphil ma ispirato sicuramente dal genio di Leon Battista Alberti (1404-1472), di Pirro Lagorio (1513-1583), fautore del “Giardino dielle Delizie" noto come Parco dei Mostri  di Bomarzo, di Hieronymus Bosch (1453-1516), di Mauritius Cornelis Escher (1898-1972), di Salvador Dalì (1904-1989), di Giorgio De Chirico (1888-1978), e altri “folli geni” (come direbbe Marco Solari, il pronipote di Buzzi e attuale proprietario della tenuta). Ispirato sì da un lato ma dall’altro Buzzi fece tutto da solo, con l'aiuto materiale di decine di artigiani che lavoravano con e per lui. Il risultato è  considerato un unicum al mondo.

Anche la Scarzuola diventa sempre più, in pietra viva, il mio sogno a occhi aperti, sempre più vasto, e complesso, e ricco di significati reconditi, di allusioni, di metafore, di ‘concetti’, di trovate, grandi e piccole, di segreti, di allusioni, echeggiamenti, fantasie, cristallizzazioni, incrostazioni, ricordi” (Tomaso Buzzi). La lasciò incompiuta, dopo avervi lavorato vent'anni, dal 1958 al 1978, morendo nel 1981, e nelle sue intenzioni forse tale doveva restare, incompiuta e abbandonata nelle mani della Natura, facendola ricoprire di rovi e di oblio. Ma il destino aveva in serbo qualcosa di diverso.

  • Visita alla Scarzuola e alla Città Buzziana

Superato il paese di Montegiove per un chilometro circa (e a circa 4 chilometri dal castello) troviamo un bivio e, sulla destra, imbocchiamo la direzione indicata da un modesto cartello “Scarzuola XIII secolo”. La strada non è asfaltata e mette a prova le sospensioni dell’automobile. Ma già dovevamo aspettarcelo: non c’è ingresso nel “Giardino delle Esperidi” senza prove da superare! Incontriamo isolate dimore lungo il sentiero boschivo, chiediamo e ci dicono di proseguire. Finalmente un parcheggio, la sagoma di un alto muro di cinta e un portale: l’abbazia. Una targa spiega sinteticamente dove siamo: “Convento della Santissima Annunciata della Scarzuola dei Minori Osservanti Riformati” con breve storia e, a seguire, “Città Buzziana”, con relativa breve descrizione. La targa è vecchiotta, riporta ancora il costo d’ingresso espresso in lire (20.000) e dice che le visite sono solo guidate a gruppi minimo di 10 e massimo di 30 persone (a occhio e croce saremo più del doppio).  Ci sono già diverse persone che sono pronte per la visita prenotata, al par nostro, via e-mail o telefono (sul sito web ufficiale si trova tutto). Va prenotata almeno con una settimana di anticipo e il costo del biglietto è di 10 euro.

Crocifisso con i simboli della Passione di Cristo, situato sul muro esterno del sagrato: il numero formato dai tre dadi è uguale a 13

 

Forse troppe le persone; per esperienza sappiamo che, specialmente in certi posti, meno si è e meglio si comprende e si interagisce con la guida. Piccoli gruppi sono perfetti, comunque in questa caldissima domenica di agosto siamo tutti qui riuniti e già sfidare la temperatura delle 11 (tra i 35-38°) ci accomuna nell’essere eroici!

Le alte mura ci spingono a metterci sulle punte per cercare di vedere oltre ma il portone si apre e la nostra curiosità viene in parte sedata. Entriamo in un sagrato erboso cinto su tre lati da mura intervallate da edicole, entro le quali stanno le Stazioni della Via Crucis,  formelle in cotto del 1760. Di fronte a noi si staglia la chiesa, sorta sulla leggendaria capanna di scarsa o scarza. Si fa viva l’emozione ma dove sono tutti i monumenti eclettici del Buzzi? Calma, c’è un tempo per tutto. La chiesa è preceduta da un portico a quattro arcate, realizzato nel XVII secolo. Il tetto a falda è a spiovente sul prato, il portale è chiuso (e prevediamo che non ce lo apriranno); ai lati del protiro stanno due nicchioni e appoggiato al muro della chiesa c’è il frammento di una porta, una vecchia porta di legno su cui è ritratta una figura che ricorda un giullare.

Mentre ci guardiamo attorno arriva la guida. Ancora non sappiamo essere lui il proprietario, ma la cosa è presto svelata da egli stesso, è Marco Solari, di cui tanto si legge nel web, pro e contro (ma noi non abbiamo letto niente e quindi siamo privi di condizionamenti). Ci tiene a dire che non era lui l’erede designato, che spettava ai suoi cugini ma che essi, avendo preferito non occuparsi della Scarzuola, lasciarono che se ne occupasse Marco. Il quale ha accettato la sfida e da 36 anni risiede qui, dopo aver lasciato il proprio lavoro in banca. Disegni del prozio alla mano, sovente mostrati ai visitatori, Solari racconta come abbia proseguito il completamento delle strutture lasciate in alcuni casi incompiute, senza stravolgerne il senso. E il lavoro è in divenire, la Scarzuola è un po’ come la tela di Penelope, montare e rismontare.

La chiesa non viene fatta vedere internamente, come abbiamo già previsto. Ma è stato Marco Solari stesso, in occasione di alcuni lavori, a scoprire l’affresco di S. Francesco in lievitazione, di cui si ignorava l’esistenza. Documentandoci abbiamo appurato che Tomaso Buzzi operò delle trasformazioni anche notevoli della chiesa, spostando l’altare verso l’uscita e ricavando uno spazio per concerti nella zona presbiterale. Non si possono vedere nemmeno i locali che furono dei monaci e che il colto architetto trasformò, adibendoli ad usi diversi: residenza, sala da ballo, archivio, uffici, atelier...Per arredare la sua città personale, Buzzi acquistava mobili e componenti di varie epoche che faceva comporre e scomporre da abili artigiani locali.

Marco Solari ci sta dicendo cose importanti, con un piglio provocatorio ma diretto. Rigorosamente celato dietro i suoi occhiali neri da sole, l’uomo sembra contemporaneamente temere e  tenere a bada con uno stile quasi “irriverente” la moltitudine di persone estranee, che vengono nella sua casa per “visitarla”, per curiosare o chissà che altro. Gente che porta innegabilmente guadagno, ma che forse non sempre è all’altezza di capire i suoi discorsi o il complesso meccanismo su cui si basa e si sviluppa la città Buzziana. Che per comprendere veramente bisognerebbe:

·        visitare in ogni sua parte, senza saltarne nessuna

·        essere in pochi interessati

·        permanervi il tempo necessario per porsi in vibrazione con le sue corde e ricavarne il messaggio, se ne ha uno, che probabilmente è diverso per ogni visitatore. Eppure Universale.

Ma Marco Solari avverte fin dall’inizio: ”Se siete normali, non venite”. Bisogna essere folli per entrare nella dimensione di questo posto, in poche parole. Siccome lo siamo, eccoci qui. Il primo “matto” fu S. Francesco, sostiene Solari, che staccò completamente da un “sistema” per crearne uno nuovo in cui vivere libero e seguire la propria inclinazione esistenziale. Anche Buzzi ebbe la sua “follia”: aveva soldi, potere, doti di un politico, lasciò tutto il suo aristocratico mondo per ritirarsi alla Scarzuola e dedicarsi al…”didimo”, che Marco Solari sintetizza eloquentemente in “fanciullino”. Al di là delle parole, crediamo che sia esattamente così: Buzzi voleva recuperare la sua parte “nuda”, istintuale, quella senza condizionamenti, l’unica che possa conciliare con il cammino iniziatico. Perché la cosa che appare sempre più chiara è che l’architetto volesse far prevalere la sua vocazione di Artista, in alchimia sinonimo di Adepto, passando dal buio alla luce, dal piombo all’oro, dalla materia grezza a quella levigata, dal Bambino al Cristo, operando una trasmutazione di se stesso attraverso la propria Opera. Tutti noi siamo pervasi da condizionamenti e “dimentichiamo” lo scopo per cui viviamo, imbrigliati in una moltitudine di cose che sviano dalla vera ragione, dal “senso”: conoscere se stessi. Il “ sistema” obbliga la maggior parte di noi a vivere esistenze standardizzate, strutturate secondo modelli precostituiti, alla lunga alienanti, e se non ci si ravvede, peggio per noi. Chi ha il potere, sa come usarlo e dominare il mondo, ci sono branche apposite che si occupano di questo. “E voi...ridete! E così vi fregano”, sbeffeggia Solari.

Altrochè se ha ragione. E’ venuto il momento di analizzare la vecchia porta di legno con il giullare effigiato: chi è? È un “blasfemo” S. Francesco nudo che regge una coppa di vino! E vi è una data, 1738. Che ci fa qui? E' un pezzo di recupero, ma emblematico. La porta chiudeva in origine la cella di un frate rimasto ignoto. Fu lui a disegnare il poverello di Assisi come “giullare di Dio”? Che ha un significato tutt’altro che irriverente; i seguaci di San Francesco erano appellati "giullari di Dio" quali poeti laudensi. Ma l'insieme del ritratto certo non sarebbe piaciuto alla censura bigotta, cui sfuggì a quanto pare, seppure la porta fosse finita a chiudere la porcilaia del convento.

Il gruppo si muove al seguito di Solari, che non fa notare delle importanti strutture che attraversiamo e alcune probabilmente nascoste agli occhi dei profani: il ninfeo degli Antenati, ad esempio. Accanto al quale si trova la nicchia che racchiude la sorgente fatta scaturire da S. Francesco, secondo la tradizione. E il leone nella fontana, sormontato da una clessidra (l’animale è geroglifico alchemico dell’elemento fisso, solare, maschile e solfureo). Probabilmente alcune strutture sono in manutenzione o non adeguate per moltitudini di persone, chissà... Ricapitolando...Fino ad ora abbiamo visto la parte “sacra”, per così dire, della Scarzuola: sagrato, chiesa, convento, roseto, la peschiera, la sorgente...Ma la città Buzziana deve ancora apparire. E lo fa in modo “iniziatico”, chiaramente, attraverso una Porta, anzi tre. Come nel sogno di Polifilo. Buzzi le rappresentò come tre varchi vegetali che mettono alla prova il neofta: quale scegliere? La via contemplativa, amorosa o mondana? La prima ports è “Gloria Dei” ci farebbe tornare indietro poiché conduce alla chiesa e al convento; la “Mater Amoris” conduce al vascello di Polifilo e alla vittoria e la “Gloria Mundi non porta a nulla, girando su se stessa, a dimostrazione della vanità delle cose terrene. Chissà quale avremmo intrapreso, se Marco Solari non ci avesse guidato nella direzione prestabilita dal tour di visita…

Ed ecco, oh meraviglia!, dal Teatrum Mundi la spettacolare scenografia del Teatro all’Antica, circondato dal Teatro dell’Arnia e dall’Acropoli che, al tramonto, si specchia nelle sue vetrate. Buzzi sfruttò la pendenza naturale del colle (che segue un
andamento sud-ovest/nord-est) per creare questo sensazionale teatro all’aperto, di forma emiciclica, con il posto per l’orchestra e per la scena  La cavea, contornata da cipressi, è divisa in otto settori in cui trovano spazio le scalinate che, scendendo lungo il pendio, hanno andamento simmetrico rispetto all’asse principale del teatro. Per scendere fino al podio troviamo quattro rampe. La nostra guida siede sulle gradinate ombreggiate, con la maggioranza del gruppo, e impartisce spiegazioni,  naturalmente “sui generis". Confessiamo che non sempre prestiamo attenzione perchè non vogliamo sedere, vogliamo conoscere! Vedere, perlustrare, percepire, fare i nostri "due passi" nel mistero della Scarzuola, lo desideriamo follemente!

Solari fa notare, ma ce ne eravamo già accorti, che il pavimento dell’orchestra è costituito da un labirinto al cui centro è collocata una colonnina. Ci aggiriamo per cercare di dare un ordine ai pensieri, alle strutture che vediamo, cogliendo i particolari. Salendo una scalinata ci avviciniamo al pittoresco “Teatro dell’Arnia”, le cui pareti esterne sono cosparse di applicazioni dorate: api, stelle e celle esagonali di alveare. Il parallelismo stridente:  il ronzare operoso delle api si chiama “buzzicare”, così come i pensieri ronzavano continuamente e operosamente nella mente del Buzzi (che “buzzicava”!). Sono simboli massonici, e pur non avendone certezza, fanno capire che l’architetto potesse appartenere alla Libera Muratoria. L’effigie del Buzzi è collocata sopra le aperture laterali, una per lato, mentre sul frontone si legge la seguente iscrizione: TOMASO BUZZI A.D. MCMLXV. La cifra, in numeri romani, indica l'anno domini 1965, in cui edificò il monumento, usando non soltanto il tufo (ampiamente impiegato nel complesso) ma anche cemento armato.

Il Teatro dell'Arnia

Il Tempio del Sole

Sigla di Tomaso Buzzi alla Scarzuola: A T B. La A sta probabilmente per "Architetto", la T e la B sono le iniziali del nome e del cognome. Notare la T più grande delle altre due lettere e marcatamente identica alla Tau, ultima lettera dell'alfabeto ebraico usata da San Francesco per alludere alla Croce di Cristo  e divenuta simbolo di Redenzione per gli Ordini Francescani. In alchimia, la croce è il geroglifico del crogiolo dove la materia si mortifica e si spiritualizza. Questo segno rappresenta il compimento dell'intera parola rivelata di Dio. Ai lati del tratto corto della T vi sono due "festoni" che potrebbero essere i "nodi d'unione" massonici. Si osservano poi una riga, una squadra, un archipenzolo e un compasso aperto. Curiosità: nelle lettere A e B sono camuffate le due colonne del Tempio Massonico (J e B). Nella lettera B è insito anche il 3 (numero perfetto e trinitario). Di questa "insegna" ne esiste almeno un'altra, alla Scarzuola, è sostanzialmente analoga a quella presentata ma si vedono molto bene le tacche di suddivisione della riga. Sono tutti strumenti usati dagli architetti e inoltre sono simboli massonici

Il "Terzo Occhio"

Particolare dei disegni geometrici della copertura del Terzo Occhio, che era stato pensato come studiolo del Buzzi, in cui poteva "buzzicare" a piacimento

 

Ci sentiamo osservati dall’enorme Occhio posto al centro del basamento del teatro, che simboleggia il “Terzo Occhio” (la Coscienza Consapevole). Scrutiamo nella pupilla dorata e ne riceviamo la nostra immagine riflessa! E’ uno specchio e solo dopo veniamo a sapere che Buzzi aveva ideato il locale come studiolo personale dal quale poteva vedere l'esterno ma dall’esterno nessuno poteva vedere lui. L’Occhio è provvisto di due grandi orecchie di lamina dorata e presenta due porte che conducono agli ambienti sotto il palco. Nello specchio si riflette la grande bocca del volto cornuto che sta di fronte, tra i simulacri del Sole e della Luna. Cosa rappresenta questo volto, con baffetti riccioluti, naso affilato, occhi e bocca spalancati? Forse lo spettatore, l'uomo costretto a vedere la propria immagine riflessa e “mettersi a nudo”. Il tutto è straordinariamente scenografico!

Il serpente attorcigliato attorno ad un pilastro, dietro il Teatro del Sole e della Luna

 

Più avanti occhi e ali. Il tema  dell'Occhio alato occupa una congrua parte della Città Buzziana e come non associarlo al simbolo di Leon Battista Alberti? Il grande architetto rinascimentale fu effigiato sul verso di una celebre medaglia da Matteo de Pasti nel 1499, e sul recto si trova una raffigurazione (con ogni probabilità concepita dall'Alberti stesso) considerata ancora oggi enigmatica, seppure sia certa la correlazione con la simbolica egizia (occhio del dio Horus). L'occhio ha due robuste ali attaccate superiormente, mentre inferiormente vi sono sette fiammelle, che potrebbero indicare i sette Giorni della Creazione, i Sette Pianeti, i Sette Colori dell'Iridie, ecc. Tornando a Buzzi, vi è anche una curiosità: pare che da ragazzino le zie lo chiamassero "occhio" per la sua capacità di disegnare in qualsiasi situazione e qualsiasi cosa, istintivamente.

Veniamo attirati dalla presenza di una porta bianca e questa è un autentico reperto archeologico perché proviene dal Palazzo di Diocleziano a Spalato (Croazia). E’ la “Porta del Cielo” (Juana Coeli) sulla cui architrave è una sorta di aforisma: “La giustizia dimensiona i popoli quando la giustizia è al di sopra del crimine”. Perché ripetere due volte il soggetto? E’ la porta che conduce all’Acropoli, intermediaria tra l’Olimpo (sede degli dei) e il palcoscenico (sede degli uomini).

Juana Coeli

Buzzi inserì sull'Acropoli, la parte più alta della Città, la riproduzione di celeberrimi monumenti dell’antichità classica: Partenone di Atene, Pantheon di Roma, il Tempio di Vesta (Roma), la Torre Campanaria (Mantova), la Torre dei Venti (Atene), l’Arco di Trionfo (Roma), il Colosseo (Roma) e la Piramide di cristallo, in parte protetta dalla Torre di Babele (come vedremo alla fine). Purtroppo il nostro tour di visita non ha contemplato l’avvicinarsi a queste strutture (ad un nostro tentativo di salire verso la zona più elevata, siamo stati fermati da un tonante-moderato “Lì non si può!”. Ovvio, se permettesse ad uno di accedere, dovrebbe consentire a tutti di farlo e siamo una...folla. In compenso siamo scesi fino al cancello situato alla base, dove è aggrappata la sagoma di cartapesta di uno scheletro umano. Poveraccio, sembra sintetizzare la prigione delle nostre abitudini, dei condizionamenti, degli stereotipi. Ecco come ci riducono! Ma sulle pareti di quell’angusto locale (corridoio di passaggio?), abbiamo immortalato innumerevoli falli, singoli, doppi e tripli incrociati. Perciò potrebbe essere anche la prigione dei sensi.

Obbedienti perché in casa d’altri si rispettano le regole, seguiamo il gruppo e ci ritroviamo al cospetto della Torre del Tempo e dell’Angelo custode. Punto cardinale Sud. E’ il primo baluardo che protegge la Buzzinda, insieme alle sette mura e agli edifici che incontreremo. Sotto il cielo blu e il sole cocente, l’insieme ha del soprannaturale, come stessimo attraversando un sogno ad occhi aperti, affascinati da visioni, sensazioni, emozioni. Questo non è un parco di divertimenti e siamo sempre più convinti dell’indispensabilità di soffermarsi a lungo, in pochi, per riflettere, osservare, penetrare nel particolare e quindi nel Tutto.

I quadranti della Torre sono spiraliformi e Solari dice che si ritrova la spirale di Fibonacci. Un orologio simboleggia il Tempo (dei nostri orologi sempre frenetici della quotidianità) e l’altro il “non-tempo” o quello ciclico (che se ne frega dell’altro perché è infinito, l’eterno fluire e rifluire, morire e rinascere). Infatti a consolidare questa nostra impressione notiamo che una spirale si sviluppa in senso orario e l’altra in senso anti-orario e troviamo una moltitudine di elementi simbolici sulla prima porta (che è una porta vera): un’ala, l’ occhio onniveggente, la clessidra alata. Cosa c’è, dietro quella porta? Questi edifici come sono strutturati, internamente? Quattro piccoli obelischi terminanti con una sfera concludono superiormente la pianta quadrata dell’edificio. Una lanterna in tufo regge un segnavento metallico dorato a forma di angelo fiammeggiante. Sull’altra facciata vi è una falsa porta in muratura; vi è una data in numeri romani MCMLXXVIII (1978, disposta su tre righe), un’ala e un occhio al di sotto del quale vi è una sorta di T. Di fronte si trovano i filari della vigna, non lì per caso. Lungo le mura si incontrano rocchi di colonne, omaggio al mondo classico. Dopo la Torre del Tempo è un susseguirsi di edifici che si mostrano e si celano, con relativi simboli, porte, merlature, elementi che forse nessuno è veramente in grado di spiegare pertinentemente.

La statua della “Gigantessa” o Grande Madre appare in tutta la sua sbalorditiva prosperosità aggirata la Torre del Tempo ed alcuni edifici (come la Casa-capitello): è una donna dai grandi seni, feconda, senza gambe, né braccia, né testa. Dal collo fuoriescono dei fili metallici che simboleggiano il magma, sostanza vulcanica che è il cuore attivo e pulsante della Terra. Marco Solari insiste a dire che il luogo è femminile, e dobbiamo ascoltarne il battito primordiale. Non dimentichiamo che Montegiove è costituito da roccia lavica, tufo e basalto (geologicamente era un antico vulcano). Davanti all' enorme scultura meditiamo: la società attuale schiaccia lo spirito a favore del materialismo, ed è l’anima che perdiamo. Il nostro vivere deve tendere al suo recupero, come Polifio! La Gigantessa immette nel Tempio di Eros, portato a termine da Marco Solari di recente. Ella sta a guardia di due porte: quella della Scienza e della Tecnica e quella dell’Arte e della Fantasia. Le due porte sono piene di simboli esoterici (squadra, compasso, ecc.). A nostro modesto avviso il percorso iniziatico "buzziano" ha qui uno sviluppo determinante.

Particolare del Caduceo di Mercurio, uno dei simboli affissi alla porta situata a sinistra della Gigantessa

 

Questa Grande Madre, simbolo della Vergine mercuriale alchemica, è a nostro giudizio la rappresentazione del Caos Primordiale, della Madre Terra che nutre e matura i minerali e i metalli generati nelle sue viscere. Questa sostanza-principio, eterica e semi-materializzata, viene chiamata simbolicamente Mercurio dei Saggi o dei Filosofi (per distinguerla dal volgare mercurio dei termometri, insegna Fulcanelli). Dal Mercurio dei Saggi derivano tutti i corpi dell'Universo ed è all'origine dei sette metalli primari, così come la luce bianca origina i 7 colori del prisma, che si possono ridurre ancora alla luce bianca. Quindi anche i sette metalli si possono “ricondurre” al Mercurio dei Filosofi. Ai sette metalli corrispondono i sette pianeti dell'astronomia e dell'astrologia antica. La teoria generale alchemica ammette che tutti i metalli - in tempi lunghissimi- evolvano verso la perfezione, come l’uomo verso la divinizzazione. Processo che con la “caduta” si è arrestato ma che l’alchimista sa come portare a termine, grazie al “Donum Dei”. Manifestazioni diverse della Mater-ia prima (cioè del Mercurio dei Saggi), sono i Quattro elementi: Terra, Acqua, Aria, Fuoco, trasmutabili gli uni negli altri (dall’Uno al Molteplice).

La statua della Grande Madre è la polena posta sulla prua del vascello, la guida o il segno della Via Lunga o marittima alchemica. E proprio la forma di un vascello conferì Buzzi alla propria Opera ermetica. Attraverso Polena si accede al Tempio di Eros, che non abbiamo visitato (ma che forse comprende il locale con i falli?). Simbolicamente si potrebbe identificare come il luogo delle “nozze chimiche”, quella mistica unione delle due opposte nature per dare origine all'androginia, la perfetta fusione tra maschio-femmina, tra Dio e l'uomo, che provoca la morte della nostra dimensione materiale. Cioò che nascerà sarà l'Uovo Filosofico, che necessiterà della terza cozione per mezzo del fuoco. Scostandosi dalla collinetta e scendendo verso la vigna, possiamo avere una visuale più ampia degli edifici che si susseguono.

Buzzi creò questa città per iniziarsi e forse iniziare pochi eletti al recupero dell’Anima. Non sappiamo come ciò avvenisse, se si svolgessero dei rituali ma alcuni punti (raggiunti sbirciando o letti in alcune descrizioni perché non inclusi nella visita guidata) depongono per una pratica fisica che accompagnasse quella prettamente teorica o filosofica (alla stregua dei "Misteri" dell'antichità).  Il “Teatro del Corpo Umano”, ad esempio, sarebbe interessante da approfondire e ci piacerebbe anche sapere a cosa servisse (o serve tutt’ora?) la piattaforma pentalobata recante un doppio pentacolo tracciato sulla superficie, uno di colore bianco e uno nero (due aspetti della magia?). Sorge spontanea una domanda: se poi fosse tutto uno "specchietto per le allodole", un capriccio di un ricchissimo personaggio? Non vi avrebbe speso tempo e denaro, ovviamente, anche se è ammissibile che qualche vezzo puramente decorativo sia forse intercalato nel percorso; è quasi obbligatorio sia così, a nostro parere, per sviare gli avventori, gli  pseudo-filosofi e per consentire al neofita di discernere il grano dal loglio.

La Casa-Cubo assomiglia ad un Athanor, il forno alchemico

La Balena di Giona e, più arretrata, la Torre della Solitudine e della Meditazione

 

E' giunto il momento di entrare nella Balena di Giona (struttura che è stata concepita da Buzzi e portata a compimento da Solari), contornata da massi tufacei che emulano flutti e onde. La condizione dell’iniziato è chiara: cercare il proprio Creatore, la propria particella divina (Anima) uccidendo il buio della propria ignoranza e rinascere come Uomo Nuovo. Colui che rompe le catene della vita materiale e abbraccia il suo Sé superiore. Giunto qui, ha già superato prove difficili, ora l’oscuro passaggio lo fagocita e lo risputa trasformato.

Con una nuova luce nello spirito ci ritroviamo nell’immensità del Grande Teatro Verde, che abbaglia di vita. Buzzi voleva creare dodici gradinate ricavate nel prato e dare al tutto una chiara impostazione massonica. Collocò una Torre mozza (detta della Solitudine e della Meditazione), nella parte più bassa del Giardino, a nord-est, che doveva servire come simbolica cerniera dell’apertura di un compasso aperto a 90 gradi, contenente la cavea, significativamente un angolo retto: l’equilibrio tra Spirito e Materia.

La “pietra” è ora rettificata: si ascende attraverso un viale colonnato (la Scala della Vita) che conduce alla Porta dell’Amore. Ricordiamo, all’inizio del percorso, le tre porte? Avevamo imboccato la “Mater Amoris” ed ecco ora il faticoso traguardo! E’ sormontata da un cartiglio dorato sul quale è scritto “Amor vincit omnia”, l’amore vince tutto, su tutto, può tutto, è principio assoluto e motore dell’Universo.

"Amor vincit ominia" è scritto in caratteri dorati sull'archivolto della Mater Amoris, la Porta dell'Amore che conduce alla salvezza dell'Anima

Il  Grande Teatro Verde

La Torre della Solitudine e della Meditazione (foto sopra e sotto)

La Scala della Vita

Il Tempietto di Flora e Pomona, inquadrato dalle colonne della Scala della Vita

Bellissima visuale prospettica dal Grande Teatro Verde

 

Per celebrare la vittoria, troviamo un bellissimo tempietto ottagonale in tufo dedicato a Flora (dea della Primavera) e Pomona (dispensatrice di frutti, dea degli orti e dei giardini). L’edificio, che Marco Solari ha fatto coprire con una cupola a padiglione, è un omaggio alle forze rigeneratrici della Natura.

Marco Solari, a sinistra, in vista del Tempietto ottagonale di Flora e Pomona

 

Il viaggio non è finito. Anche se, in un percorso "iniziatico" probabilmente lo sarebbe, ma non abbiamo la visuale adeguata del complesso, e lo stiamo visitando in base al circuito che la nostra guida ci fa fare. La città Buzziana, comunque, sembra non avere voglia di congedarsi e noi...ci lasciamo sorprendere. Uno splendido specchio d’acqua popolato di ninfee consente al folto gruppo di sostare e guardarsi attorno: la Torre della Solitudine e della Meditazione appare adesso bellissima, con quell’aria volutamente decadente. Alziamo.lo sguardo e ci accorgiamo di essere dalla parte opposta dell’Acropoli, i cui monumenti si specchiano nel laghetto. Siamo nel Teatro acquatico, che racchiude il ninfeo di Diana e Atteone o ninfeo delle Ore: il nome è dato da 24 colonne (le ore imprigionate) reggenti l’impianto ellittico. La struttura è ancora da completare con ulteriori elementi simbolico-allegorici. Con l’occhio al centro del ninfeo, Buzzi intendeva forse essere l’Atteone-spia del giardino…

L'occhio alato e l'occhio con le corna si riferiscono al mito di Diana che, spiata dal giovane Atteone mentre faceva il bagno senza veli, lo punì trasformandolo in cervo. Egli seppe delle sue nuove sembianze soltanto specchiandosi nell'acqua e tragicamente venne sbranato dai suoi cani, che non lo riconobbero e continuarono a cercarlo disperati per la foresta. Giunti alla caverna di Chirone, che aveva allevato Atteone, ricevettero um'immagine del padrone per lenire le loro sofferenze. Anche in questo caso, come nel Terzo Occhio visto precedentemente,  le pupille dei due occhi sono a specchio

 

Il teatro dell'Arnia, sopraelevato, si specchia nel laghetto del Teatro Acquatico. Scale, passaggi, corridoi di raccordo: tutti gli edifici sono collegati tra loro e il punto di inizio diventa il traguardo e viceversa, ma il visitatore, nel breve spazio di una visita standard, non riesce a rendersene conto adeguatamente

Bellissimi fiori di ninfea

Il Teatro acquatico ha la forma di una farfalla e accanto alla vasca si staglia un gruppo di cipressi: è l’organo arboreo, le cui canne sono appunto costituite dai cipressi. Ai loro piedi un grande compasso alato (che in realtà mima tre compassi).

Non si finisce di stupirsi, qui alla Scarzuola!

 

 

 

 

 

 

Come ultima portata, Solari ci conduce nel vicino Tempio di Apollo, con al centro un cipresso fulminato. Esso fu sempre molto importante per Buzzi,  che avrebbe voluto anche dorarlo: lo riteneva l'elemento più vicino a Dio, essendo stato percorso da cielo a terra dalla folgore. La presenza dell’albero è pertinente: il luogo si chiama anche Teatro di Ciparisso perché evoca il mito del giovane amato dal dio Apollo e da questi trasformato in cipresso. L’edificio ha forma circolare, senza copertura ed è sormontato da stelle dorate. Le pareti sono disadorne, costituite da blocchi tufacei. Soltanto lungo il fregio superiore si susseguono formelle scolpite con motivi simbolici: occhi, stelle, e altri che appartenevano al mondo “archetipico” di Buzzi.

Lo scheletro del cipresso prediletto da Tomaso Buzzi

Il Teatro di Apollo o di Ciparisso

Dettaglio del fregio del Sole e, sotto, di alcune simboliche formelle

La visita dovrebbe essere finita, ma noi ci vogliamo soffermare a descrivere un edificio che, dal Tempio di Apollo, è accessibile tramite un breve passaggio porticato (oltre che dall'Acropoli), ma che non c'è la possibilità di visitare. E’ una struttura veramente interessante, in realtà costituita da due costruzioni denominate rispettivamente Torre di Babele e Scala delle sette ottave, inaccessibile ai profani (immaginate una sessantina di persone che entrano in una struttura simile? Bisogna anche capire il proprietario e usare il buon senso). Ci consente di sottolineare quanto valore attribuiva Buzzi alla Musica, intesa come ricerca dell’Armonia e del Benessere. La Scala è contenuta nella Piramide di Vetro, sormontata da una grande stella in metallo. Al di sopra della quale è posta una croce, dettaglio non trascurabile perchè qui non siamo in presenza di edifici religiosi. Ma, come abbiamo già accennato per la Tau nello stemma del Buzzi, la croce è simbolo di redenzione, della Materia che nel crogiolo si mortifica, si crocifigge e muore per poi rinascere, redenta, divinizzata, immortale. A sua volta, la delicata struttura piramidale è in parte protetta dalle rovine della Torre di Babele in pietra. “Nel progetto di Buzzi essa doveva sprigionare un suono ad ogni passo, grazie alla tensione di un cavo di acciaio sui gradini traforati che, urtato, generava una precisa nota musicale. Un lato della piramide di vetro che racchiude la scala è schermato dalla torre di Babele in tufo, formata da colonnine ioniche con andamento spiraliforme: ognuna di esse si appoggia e contemporaneamente sostiene un gradino, generando un moto ascendente. Quattro ali metalliche stilizzate, situate in cima alla torre, erano simbolicamente preposte a salvaguardarla dal crollo” (Lamberti-Lemmi, 2011). Quale meraviglia!

Mentre Marco Solari ci saluta e si congeda, accompagnando il gruppo verso l'uscita, ci sovviene un raffronto con l'alchimia, che è chiamata anche Arte della Musica perchè in questa fase (quella della "cozione" dell'Uovo filosofico) si producono sette suoni, sette sibili in scala armonica crescente che indicano il buon andamento delle operazioni. Su di esse, scrive Fulcanelli, l'artista deve modulare il fuoco adattandolo in perfetta armonia con il cambiamento delle note. Visivamente, gli è impedito di vedere cosa accade nel suo composto poichè sulla superficie è comparsa una sorta di crosta calcarea, il guscio dell'uovo appunto.

Chissà se Buzzi pensò veramente a questo, quando realizzò la magnifica e complessa macchina musicale? Chissà se provò le stesse emozioni di Canseliet, il disceopolo di Fulcanelli giunto alla fase finale della Grande Opera: "Dunque, grazie a queste note, voi seguite il procedere della grande cozione fino alla pietra al rosso. Voi seguite così il passaggio dei pianeti, dei colori...l'uovo si apre, il guscio si spezza e allora appare, tra le ceneri...il rubino centrale. E' la Pietra. La sua forza può essere molto differente. In seguito la si moltiplica, per aumentare la sua forza, con il mercurio che si è messo da parte a questo scopo". Non vogliamo nè saremmo capaci di tenere una lezione di alchimia, ma è fin troppo chiara l’autentica magia di questa costruzione, frutto di un genio qual’era Tomaso Buzzi. L’Artista. L’Alchimista.

 

 

  • Ringraziamo Marco Solari per la stimolante visita, ma soprattutto per conservare e far crescere questa grande opera. Il sito ufficiale della Scarzuola è www.lascarzuola.com

 

Links utili:

 

(Autrice Marisa Uberti)