Le chiese-grotte di Nazareth e il rituale del triplice Battesimo (P.Galiano)

Io vi battezzo con l'acqua per la conversione

ma chi verrà dopo di me vi battezzerà in Spirito e Fuoco

(Matteo, III, 11)

 

Il rito centrale del primo cristianesimo era costituito da un triplice sacramento nel quale erano compresi quelli  che in epoca successiva sarebbero stati distinti in Battesimo e Cresima; veniva amministrato al neofita adulto non separatamente ma insieme in uno stesso rito, che nel cristianesimo romano si teneva tra la notte del Sabato Santo e la Domenica di Pasqua, ed  ancora oggi nel Rituale si trovano tracce dell’uso più antico. Per comprendere quale fosse il significato originale di questo triplice Sacramento esamineremo una delle più antiche testimonianze che ci sono pervenute integralmente, le chiese-grotte protocristiane di Nazareth[1], costruite da quei cristiani che erano fuggiti da Gerusalemme al tempo della distruzione della città, ed integreremo il discorso archeologico con le testimonianze di Clemente d’Alessandria, di Origene, di Eusebio di Cesarea e in particolare con due testi patristici fondamentali, le Catechesi battesimali di Cirillo di Gerusalemme e la Mystagogia di Giovanni II di Gerusalemme[2].

Cirillo, Dottore della Chiesa, e Giovanni II, successore di Cirillo come Vescovo di Gerusalemme, vissuti tra il IV secolo e l’inizio del successivo, hanno lasciato una raccolta di 24 omelie note come Catechesi battesimali, le prime 19 sicuramente scritte da Cirillo e le ultime cinque, chiamate Catechesi mistagogiche per il loro alto valore simbolico e dottrinario, attribuite ad ambedue o al secondo di essi: i loro testi descrivono i passaggi del catecumeno sia attraverso l’istruzione alla comprensione dei misteri fondamentali del cristianesimo, sia attraverso azioni particolari che possono servire ad una ricostruzione di quanto doveva avvenire nel II-III secolo nelle chiese-grotte di Nazareth e rivelano quanto il loro lavoro sia fondamentale per una comprensione di ciò che vi è dietro le quinte di quello che noi, troppo semplicisticamente, chiamiamo “cristianesimo” .

 

I Nazareni e le chiese-grotte di Nazareth

Sotto le chiese della Nutrizione (o di S. Giuseppe) e dell’Annunziata a Nazareth nel 1955-56 sono state portate alla luce un complesso di grotte, che originariamente dovevano essere in parte completate con strutture in muratura, aventi una disposizione ed un orientamento molto simili in ambedue le chiese, grotte che ebbero funzione cultuale e furono di sicuro utilizzate nel II secolo per riti battesimali di tipo giudeo-cristiano, cioè riconducibili alla Chiesa di Gerusalemme retta dall’apostolo Giacomo il Giusto, primo Vescovo della comunità cristiana e parente del Cristo (“fratello” nel senso odierno di cugino, come spiega unanimamente l’esegesi ufficiale).

L’uso di grotte come luogo per l’insegnamento e forse anche per l’amministrazione di riti risale allo stesso Cristo, come racconta la pellegrina Eteria nel suo Diario di viaggio parlando dell’Eleona, cioè del Monte degli Ulivi: “Si va alla chiesa che è pure all’Eleona, cioè alla grotta in cui il Signore sedeva per istruire gli apostoli”[3]. La grotta[4], dopo gli scavi eseguiti a metà del XX secolo dai Padri Francescani che ne hanno riportato alla luce le condizioni originarie, risulta costituita da un ambiente principale di circa 10 metri per 20, a cui si accede da un’apertura larga circa 5 metri, che comunica con un’altra piccola grotta posta a est-sud-est: il complesso era fornito di una cisterna per la raccolta delle acque piovane; adibita ad usi agricoli (lo stesso nome Getsemani viene interpretato come “frantoio degli olii”), un’ininterrotta serie di testimonianze a partire dalla prima metà del IV sec. testimonia l’uso di essa da parte del Cristo come luogo di riunione dei discepoli, certamente per la preghiera e probabilmente per la loro istruzione, e qui sarebbe anche avvenuto l’episodio del lavacro dei piedi degli apostoli.

 

Le grotte di Nazareth erano utilizzate dai cristiani detti Nazareni, da non confondere con la setta giudaica dello stesso nome, ed in base alle notizie pervenuteci tramite Epifanio (Haer XXIX) e Girolamo (Ep CXII 13) ed accordandole a quanto scrive Eusebio (Historia ecclesiatica III 5, 3, d’ora in poi HE), si può ritenere che i Nazareni costituissero non una setta giudaica né un’eresia giudeo-cristiana ma la discendenza legittima dei cristiani di Gerusalemme[5]: i Nazareni infatti “credono in Cristo figlio di Dio nato da Maria Vergine, e dicono che è colui che è morto sotto Ponzio Pilato ed è risorto” (Girolamo), riconoscono, a differenza dei giudeo-cristiani eretici e di molti gnostici, Paolo come vero Apostolo (Girolamo Comm in Isaia IX 1), hanno come Vangelo quello di Matteo, però integrale e non modificato come quello usato dagli Ebioniti (Epifanio).

Tali elementi permettono di distinguere sia dal punto di vista dottrinale (Gesù figlio di Dio, nato da Vergine, morto e risorto), sia letterario (integrità del Vangelo, autorità di Paolo) il gruppo dei Nazareni dalle sette contemporanee, queste eretiche e sincretistiche mentre i Nazareni sono chiaramente ortodossi.

Per quanto concerne il loro Vangelo, Vangelo degli Ebrei o dei Nazareni[6], esso è caratterizzato dal primato di Giacomo il Giusto[7], il che ci riporta al più antico cristianesimo, ancora legato alla famiglia del suo Fondatore; la diffusione del testo in Siria come in Antiochia e in Egitto dimostra come esso fosse veramente il Vangelo della comunità gerosolimitana che abbandonò la città prima della sua distruzione ed emigrò parte a nord, a Nazareth e in Siria, parte a sud, ad Alessandria[8].

Il Vangelo dei Nazareni era da molti considerato, come riferisce Eusebio (HE III 25, 5), un testo canonico alla pari dei Quattro Vangeli e degli altri scritti neotestamentari. Il testo risale alla fine del I sec. ed ha strette connessioni con quello di Matteo, tanto che Epifanio ed Eusebio lo considerarono il Matteo originale. Questo Vangelo andò ancora più lontano, se esso è da identificare con il Vangelo di Matteo che Panteno (HE V 10, 3) trovò nelle Indie ove era stato portato dall’apostolo Bartolomeo (termine geografico che forse indicava l’Arabia e non l’India attuale, anche se il discepolo di Panteno e suo successore alla guida della Scuola di Alessandria, Clemente Alessandrino, dimostra di conoscere bene chi siano i brahmani e gli yogi, da lui chiamati gimnosofisti). Se in Oriente esso era diffuso in Siria ed in Egitto e, forse, anche in Arabia, in Occidente lunghe citazioni di esso ci sono pervenute da scritti di monaci irlandesi del XII sec. e germanici del XIV sec.[9].

Tra gli episodi riportati nel Vangelo dei Nazareni uno ci pare molto significativo: esso è riportato sia da Girolamo (ANT pag. 125) sia dai testi del XIV sec. (ANT pag. 131) e concerne un fatto accaduto alla morte del Cristo. Mente gli altri testi riferiscono che “il velo del Tempio si squarciò da cima a fondo” (Matteo XXVI, 51), in esso è detto: “l’architrave del Tempio che era di grandissima mole si spaccò in due”: una leggenda concernente i Templari narra che, quando l’ultimo Cavaliere morì, l’architrave della loro Abbazia di Valvisciolo presso Sermoneta[10] si spaccò in due, come la si può vedere tutt’oggi, segno che chi creò la leggenda probabilmente conosceva questo Vangelo.

È dunque a questi Nazareni che appartenevano le grotte di Nazareth, di cui parla Eusebio lodando Costantino per avere glorificato con i suoi monumenti, cioè le chiese da lui erette nel IV sec., le grotte in cui “il Cristo Salvatore di tutti, come attesta la verace storia, fece l’iniziazione dei suoi discepoli ai misteri arcani”[11]: questo significa che ancora nel IV secolo era viva la memoria di quali riti particolari vi si fossero svolti e, ciò che più conta, che essi fossero stati instaurati non da uomini ma dal Cristo stesso.

 

Le chiese-grotte della Nutrizione e dell’Annunziata a Nazareth  sono caratterizzate da una analoga disposizione degli ambienti più antichi, che possono essere riportati alla comunità che li utilizzò nel II-III secolo.

Il complesso di grotte e di vasche battesimali è disposto su due piani, di cui quello inferiore è costituito da una grotta disadorna, nel cui soffitto, nella chiesa della Nutrizione, si aprono due lucernari corrispondenti al pavimento dell’ambiente sovrastante.

(fig. 1)

 

Al piano superiore, con cui la grotta inferiore è collegata per mezzo di una scala tagliata nella roccia, si trova una vasca di forma quasi rettangolare (fig. 1), alla quale si accede per mezzo di sette gradini: nella chiesa della Nutrizione la scala è separata dal pavimento della vasca da un canaletto che corre lungo uno dei lati maggiori, simboleggiante il fiume Giordano; il fondo della vasca (fig. 2) è costituito da un mosaico che disegna sei quadrati irregolari, simbolo dei sei Angeli Protoctisti (i Primi-Nati), che circondano una pietra nuda di basalto nero, che è figura del Cristo, primo e settimo Angelo nell’angelologia giudeocristiana, accanto alla quale è scavata, nel pavimento, una vaschetta poco profonda (fig. 3). La vasca doveva una volta avere una copertura a volta, secondo Testa[12].

(fig. 2)

(fig. 3)

 

Nel piano superiore della grotta della Chiesa dell’Annunziata sono di particolare interesse due complessi mosaici pavimentali, che si riferiscono al “Diagramma del Mondo” e al “Quadrato cosmico”, simboli geometrici della teologia protocristiana che probabilmente servivano come schema di meditazione, analogamente ai mandala indù, sui quali torn eremo più avanti. Nella Chiesa della Nutrizione sono invece stati scoperti solo modesti residui di mosaici la cui lettura è impossibile, anche se la fattura sembra in linea di massima essere la stessa della seconda chiesa.

L’insieme di vasche, gradinate e grotte costituiva l’ambiente in cui veniva amministrato al neofita il triplice Battesimo di Fuoco, di Acqua e di Spirito Santo, conforme alle parole del Battista: “Io vi battezzo in acqua perché vi convertiate, ma Colui che viene dopo di me vi battezzerà in Spirito Santo e Fuoco” (Matteo III, 11).

Le grotte erano note ai pellegrini del IV e V sec. ed ancora in epoca medievale si trovano tracce di visitatori: su di esse si sono elevate le chiese bizantine e poi quelle crociate, a testimoniare l’ininterrotta venerazione per questi antichissimi luoghi dell’iniziazione cristiana, il cui modello venne poi ripetuto anche in Occidente, come ad esempio nella poco nota chiesa-grotta dedicata a San Michele Arcangelo ad Avella, probabilmente risalente al V secolo[13].

Le linee principali del triplice rito protocristiano e i residui ancora presenti nella Liturgia dimostrano come la Gnosi, quale abbiamo cercato di ricostruire nel nostro saggio su Le vie della Gnosi, costituisse il nucleo centrale della vita spirituale della primitiva comunità cristiana.

 

Il Triplice Battesimo

a)      Il Battesimo di Fuoco

Come si è detto, il primitivo sacramento era costituito dal succedersi di tre riti che vennero più tardi distinti in Battesimo e Cresima, quali tutt’oggi vengono celebrati: secondo quanto è possibile ricostruire dalle parole dei due maestri di mistica di Gerusalemme, Cirillo e Giovanni, il primo dei tre aveva luogo nell’exorcisterium o casa esteriore, corrispondente al piano inferiore della grotta-chiesa, dove veniva portato il catecumeno, paragonato al serpente che nella sua oscura tana si spoglia della vecchia pelle per rinascere (l’ “uomo nuovo” di cui parla Paolo). Attraverso i lucernari aperti nel soffitto della grotta e comunicanti con il piano superiore, in un ambiente probabilmente lasciato al buio, egli riceveva l’istruzione e poi, rivolto ad occidente[14], faceva la “rinunzia a Satana”.

Quindi si spogliava nudo (“Siete stati nudi agli occhi di tutti e non vi siete arrossiti. Portavate davvero l’immagine del primo uomo Adamo, che nel Paradiso era nudo e non si vergognava” dice la Catechesi mistagogica II, indicando chiaramente in questa cerimonia iniziale il ritorno allo stato edenico) e riceveva una lampada accesa per salire al piano superiore sotto la guida di Michele Arcangelo, detto nei testi giudeocristiani Michele Waw[15]. Uscito così dalla grotta inferiore riceveva il primo Battesimo, detto di Fuoco, mediante l’unzione con l’olio dei catecumeni: “L’olio esorcizzato… quasi fiamma ardente brucia e caccia i dèmoni”.

Testa (Nazareth pag. 27) considera questa prima unzione la sfragis, cioè il sigillo indelebile che aggrega il neofita al popolo di Dio, come era la circoncisione per gli ebrei, ma come attesta la maggior parte degli Autori, in particolare Danielou (GC pagg. 481-484), sulla base delle testimonianze degli scrittori del protocristianesimo la sfragis è il segno di croce fatto con l’acqua nel secondo Battesimo, croce corrispondente al taw ebraico che ha forma di + o di X, quello che Ezechiele vide segnato sugli eletti (Ezechiele IX, 4).

L’olio consacrato qui utilizzato veniva preparato nel periodo pasquale con un rito particolare ed una Messa solenne; con esso, dice S. Efrem, “lo Spirito, fuoco segreto, unge il suo gregge nei Tre Nomi”, è fuoco che brucia il peccato e fuga i dèmoni, quindi anche atto di esorcismo, comunica la vita del Cristo, sveglia il “dormiente” e lo illumina, come dice Teodoreto in un antico inno parafrasando, la frase di Paolo: “Sveglia, tu che dormi, e risorgi dai morti, così il Cristo ti illuminerà”[16].

 

b)    Il Battesimo di Acqua

Al Battesimo di Fuoco faceva seguito il Battesimo di Acqua: esso veniva amministrato al piano superiore, ove si trovava la piscina, nel luogo detto photisterium (luogo dell’illuminazione) o tesoreria. Qui il neofita, che prima aveva fatto la “rinunzia a Satana” rivolto ad occidente, si inchina ad oriente e fatta la confessio fidei scende nella vasca, che doveva essere riempita di acqua viva, cioè presa da una sorgente, da un fiume o anche dal mare, secondo prescrizioni presenti nella Didachè (VII, 1) e in altri testi patristici[17], e vi si immerge tre volte: “Vi siete immersi per tre volte nell’acqua e di nuovo siete risaliti simboleggiando la sepoltura di tre giorni del Cristo” (Catechesi mistagogica II).

L’uso di acqua di fiume o di sorgente, cioè di acqua corrente[18], potrebbe confermare quanto da noi scritto ne Le vie della Gnosi citato circa la possibilità che una forma del rituale proprio della Gnosi fosse basata sulla preghiera notturna presso un fiume: di questo rituale abbiamo almeno due conferme certe, la prima l’uso dell’orto del Getsemani, ai cui piedi scorre il Cedron, da parte del Cristo come luogo consueto di riunione con i suoi discepoli per la preghiera e l’insegnamento, ed in particolare l’episodio concernente la presenza la notte della cattura del Cristo di un giovane nudo vestito solo di un lenzuolo (Marco XIV 51-52), e la seconda nella leggenda della visione della Vergine del Pilastro[19] avuta da Giacomo Maggiore mentre pregava di notte sulle sponde dell’Ebro.

A questi elementi potremmo affiancare l’episodio di Lazzaro presente nel papiro studiato da Grant[20], nel quale sarebbe contenuto il frammento di una versione del Vangelo di Marco non presente nel testo ufficiale che si inserirebbe alla fine del capitolo X, nel quale si fa riferimento ad una cerimonia notturna sulle rive di un ruscello a cui partecipano solamente il Cristo e Lazzaro resuscitato, vestito solo di un lenzuolo. Ovviamente non accettiamo certe tesi esposte dall’Autore e per altro occorre sottolineare come la critica più recente metta in dubbio l’autenticità del frammento oggetto dello studio di Morton.

Rimanendo nell’ambito delle testimonianze certe, i Nazareni quindi proseguivano, anche se in una grotta e non più all’aperto, un uso rituale fondato dal Cristo stesso e seguito dai suoi primi discepoli.

Il significato della discesa nella piscina battesimale è duplice: essa indica la discesa del Cristo nel seno della Vergine come quella agli inferi nei tre giorni della deposizione nel sepolcro (rappresentando la piscina, in quanto “luogo inferiore”, sia il mondo creato sia il mondo ctonico), ma anche la discesa dell’anima dal luogo della pura spiritualità attraverso i sette cieli (cioè i sette gradini della vasca) fino alla terra, luogo della manifestazione visibile, circondata dal Giordano (il canaletto di cui si è detto), che è l’Oceano che avvolge la terra ed è detto esser sede del Dragone, il Serpente che circonda il mondo, l’Ouroboros ben noto alla Gnosi siroalessandrina come all’Ermetismo.

Contemporaneamente la discesa è anche un' ascesa alla sede dei Sette, raffigurati dai sei quadrati di mosaico del pavimento della piscina circondanti la pietra di basalto nero che è il Cristo (cfr. Paolo I Cor X, 4: “Tutti bevevano da una roccia spirituale e quella roccia era il Cristo”), posta al centro, pietra nera (nera come la sacra pietra della Kaaba) su cui il neofita prende posto per identificarsi con il Cristo, primo dei sette Angeli Protoctisti.

La Pietra nera centrale è anche la scaturigine dell’Acqua purificatrice che dà la vita, prefigurata dalla pietra da cui Mosè fece scaturire l’acqua sul monte Horeb ma presente anche in altre tradizioni, come nei misteri di Mithra Petrogenes, “nato dalla pietra”: la Pietra è il silenzio primordiale da cui sgorgano i Ritmi, ma è anche l’impietramento della materia che viene disciolta e torna ad essere onda che fluisce liberamente.

La chiave di lettura del simbolismo Pietra-Acqua la troviamo ad esempio in Erma (Sim XII, 1 - 8; Sim IX, 6, 1 - 2; Vis III, 2, 4 - 5), presso cui si trova anche la connessione con i sei Angeli: “La pietra è il Figlio di Dio... L’uomo glorioso è il Figlio di Dio e quei sei sono i gloriosi Angeli che stanno a destra e a sinistra... La Torre [cioè la Pietra] era edificata sopra l’acqua”; e in I Petri II, 4 - 5 è detto: “Avvicinatevi a Lui, pietra viva... e voi pure come pietre vive costruitevi in modo da formare una casa spirituale”. Non è un caso che la parola “laico”, lungi dall’avere il significato che i moderni le danno, sia correlata al greco λάας con significato di “pietra”: il laico è “pietra” come “pietra” è il Cristo.

Il Battesimo di Acqua rappresenta il nucleo centrale dell’attuale sacramento del Battesimo, nel quale manca però il riferimento agli Angeli ed il simbolismo della discesa-ascesa; forse la presenza dei padrini, fedeli già battezzati e quindi in possesso della Grazia, sostituisce in qualche modo l’elemento angelico mancante.

 

c)    Il battesimo di  Spirito Santo

Non possiamo dire con precisione dove, nell’ambito delle grotte di Nazareth, si compisse il terzo rito: possiamo presumere (ma di ipotesi si tratta) che esso avesse luogo in corrispondenza del mosaico che Testa chiama “il Diagramma”, considerato il significato dei simboli in esso contenuti e riferentisi alla visualizzazione della Trinità, e quindi allo stadio di perfezione al quale il neofita era giunto.

Il Battesimo di Acqua ha mondato il corpo da ogni impurità ed imperfezione: con il terzo Battesimo l’anima viene illuminata dallo Spirito e diventa degna di ascendere al Padre.

La base di tale rito si trova nel Vangelo di Matteo (III, 16), nel quale dopo il battesimo del Cristo su di Lui, uscito dal Giordano, discese in forma di colomba lo Spirito Santo. Ancora una volta sono i testi patristici che ci consentono di comprendere il rito che si svolgeva a Nazareth, ed in particolare gli scritti di Cirillo di Gerusalemme: “Dacché l’uomo è duplice, composto di anima e di corpo, ci deve essere anche una duplice purgazione: quella incorporea per l’anima e quella corporea per il corpo. L’acqua purifica il corpo e lo Spirito sigilla l’anima, in modo che, asperso il cuore mediante lo Spirito e lavato il corpo mediante l’acqua monda, ci si possa avvicinare a Dio... Né chi si battezza solo con l’acqua senza ricevere lo Spirito potrà avere la grazia perfetta”; è questo rito che dà al neofita “la duplice grazia, quella che perfeziona per mezzo dell’acqua e per mezzo dello Spirito”[21]. Così egli può compiere l’ultimo atto del percorso di rigenerazione ed ascendere a Dio, essendo ora in grado di vincere ogni ostacolo che si frapponga sulla Scala Cosmica alla sua salita verso l’Alto: “Avvicinatevi al mistico sigillo per essere riconosciuti dall’Onnipotente... non dico verso la rigenerazione dei corpi, ma verso la rigenerazione spirituale”[22].

L’unzione veniva effettuata sulla fronte, sugli orecchi, sulle narici e sul petto del battezzato in modo che “dopo il santo Battesimo e la mistica unzione, rivestiti dell’intera armatura dello Spirito Santo, possiate resistere alla potenza avversaria e combatterla”, come dice la Catechesi mystagogica III. L’unzione era fatta  probabilmente con l’uso di uno strumento, come si può dedurre da un testo siriano[23]: “Il prete prende con la punta delle dita il ferro che porta l’olio e ci marca con la punta il corpo ed i sensi dell’anima... il segno fatto in fronte ha per fine la confusione dei dèmoni”[24].

Il terzo Battesimo è per unzione ed è proprio in virtù di esso, dice Giovanni di Gerusalemme, che siamo detti cristiani, cioè unti (Catechesi mystagogica III). Il crisma dà la potenza necessaria “per debellare l’opposta Potestà dicendo: ‘Tutto posso in Cristo che mi dona la forza’ “ (ibidem); quest’ultima frase di Giovanni ricorda le “parole di passo” che l’anima gnostica conosce e adopera per superare gli Arconti nel suo viaggio verso la sede ultima.

Al rito è connesso un duplice attributo: la veste candida, che il neofita indossa uscendo dalla piscina ricevendola dalle mani dell’Arcangelo Michele, e la corona. Anche presso gli gnostici valentiniani è presente il simbolismo della corona, e la corona è il Cristo stesso presente sulla testa del battezzato: “Il Signore è sulla mia testa come una corona” (Odi Sal I 1), figura che ricorda il Loto dai Mille Petali che, nella mistica buddista, sboccia sulla testa di chi ha compiuto l’Opera. Successivamente l’uso di imporre la corona al battezzato, ancora presente nel rito siriano (Testa Nazareth pag. 51), si perderà in Occidente per il rischio di confondere i fedeli con l’uso che si faceva della corona nelle cerimonie dei gentili (GC pag. 481).

Nel Rituale Romano il terzo Battesimo è stato separato dai due precedenti divenendo il sacramento della Cresima, al quale è proprio sia l’unzione sulla fronte sia il sigillo di miles Christi; ne è rimasta traccia nella candela accesa che viene consegnata ai padrini al termine del rito battesimale con le parole: “Ricevi la lampada ardente affinché tu possa andare incontro al Signore insieme a tutti i Santi nell’aula celeste”.

La luce della candela è quanto rimane oggi della concezione di illuminazione unitiva che esisteva nella vera Gnosi, in cui il fuoco che purifica e monda dalle ultime scorie è anche la luce di cui è sostanziato Dio, con il quale finalmente il neofita si unisce. 

 

Il Diagramma ed il Quadrato Cosmico

Abbiamo visto la rispondenza tra gli elementi architettonici delle chiese di Nazareth e la concezione protocristiana del Triplice Battesimo: esaminiamo ora due elementi musivi del pavimento di una delle chiese-grotte, quella dell’Annunziata, che forniranno ulteriori argomenti di approfondimento.

I due mosaici in questione si trovano tra la piscina e l’ingresso ad una piccola grotta (chiamata grotta “del Paradiso” per i graffiti qui ritrovati) situata a nord della vasca: il primo, detto il “Diagramma”, si trova lungo il corridoio di accesso a questa grotta, il “Quadrato Cosmico” è invece situato proprio all’ingresso della grotta secondaria (Testa Nazareth pagg. 125 ss.).

L’utilizzo di questi mosaici come mezzi di meditazione, analogamente ai mandala orientali, trova riscontro nel “diagramma” di cui parla Celso nell’Alethè logos, conservatoci grazie ad Origene: nella sua polemica anticristiana, Celso descrive[25] un diagramma che i cristiani avrebbero adoperato nelle loro meditazioni, mentre Origene, il quale afferma di essere in possesso di un documento simile, nega l’appartenenza di tali disegni simbolici ai cristiani, attribuendoli invece agli Ofiti o Naasseni, una setta gnostica che identificava il Cristo con il serpente di bronzo alzato da Mosè nel deserto (Giovanni III, 14)[26]. In questa grotta mistica, che a buona ragione si può attribuire a cristiani ortodossi conservanti un’antica tradizione proveniente da Gerusalemme, troviamo figure di complessità simbolica analoga a quella di cui tratta Origene e che presentano in alcuni punti una singolare somiglianza con il simbolismo degli Ofiti.

 

Il “Diagramma” (fig. 4), disposto sull’asse nord-sud con direzione nord, ha forma di un rettangolo diviso in due parti: la parte sud è un quadrato contenente due croci separate da linee diagonali e piccoli disegni interpretati come asce bipenni, la parte nord è un rettangolo che reca al centro la Croce monogrammata inserita in tre cerchi concentrici aperti in basso verso l’altra metà del disegno, aventi in complesso la forma di una corona con due lacci pendenti alle estremità, il tutto incorniciato da un disegno formato da piccoli triangoli. L’estremità nord del disegno rettangolare è andata perduta.

(fig. 4)

 

Per Testa l’insieme del mosaico costituisce una raffigurazione del Paradiso: le due croci del quadrato sono i due alberi dell’Eden, l’Albero della Conoscenza e l’Albero della Vita, i sei disegni a forma di ascia sono le spade fiammeggianti che li difendono, mentre le diagonali, che possono essere sdoppiate in e in , costituiscono il simbolo della Piccola e Grande Tetractys; il rettangolo comprende a sua volta il monogramma del Cristo entro i tre cerchi simboleggianti il Padre, il Figlio e, tra i due, le Sette Potenze angeliche, e l’apertura a sud verso il disegno del quadrato raffigura il passaggio attraverso cui il catecumeno può giungere alla conoscenza di Dio.

Alcuni di questi elementi possono trovare riscontro nelle parole di Origene a proposito del diagramma di cui si è detto: “Abbiamo trovato [nel diagramma da lui conosciuto] ciò che Celso chiama ‘un rettangolo’… come diametro di una specie di cerchio del fuoco era disegnata la spada fiammeggiante… Dopo avere esposto le cose suddette Celso dice così: ‘Essi affastellano altri discorsi… cerchi su cerchi ed emanazioni della chiesa terrestre e della circoncisione e un potere emanante da una certa vergine di nome Prunicos… ed una discesa angusta… Dappertutto là compare l’albero della vita e la resurrezione della carne dall’albero”[27].

Il diagramma conosciuto da Origene e da Celso ha quindi forma di un rettangolo come quello della grotta-chiesa, la “spada fiammeggiante” troverebbe riscontro nelle sei asce, simbolo della folgore nelle religioni dei gentili, i “cerchi su cerchi” potrebbero essere i tre cerchi in cui si trova la Croce monogrammata, mentre la “discesa angusta” corrisponderebbe all’apertura di essi verso il basso, “l’albero della vita e la resurrezione della carne dall’albero” di cui parla Celso sarebbero identificabili nelle due croci o alberi del Paradiso Terrestre della parte quadrata. L’accenno non chiaro ad “un potere emanante da una certa vergine Prunicos” rende probabile che nella parte mancante al disopra del rettangolo vi possa essere stato un altro disegno: sembra in effetti di intravedere sul lato nord del mosaico il residuo di un cerchio, che poteva comprendere un simbolo e che in un ambiente di gnosticismo eretico quale quello degli Ofiti poteva essere sostituito con un’immagine della Sophia-Prunicos derivata dal Padre, generatrice degli Arconti.

Il neofita, dopo la meditazione sul “Diagramma” e prima di entrare nella piccola grotta che Testa chiama “del Paradiso” per i simboli in essa dipinti, si trovava di fronte un secondo mosaico, il “Quadrato Cosmico” (fig.5): come si vede nella figura, esso è formato da due quadrati inseriti l’uno nell’altro, all’interno dei quali vi è un disegno a scacchiera, che dai resti ritrovati dovrebbe essere costituito da 6 x 6 piccoli quadrati[28] e dai vertici del quadrato partono quattro X che vengono a formare quattro esagoni e otto triangoli; sotto il quadrato, inserita in un esagono, vi è una grande croce monogrammata, mentre i due esagoni posti ai lati di esso hanno ciascuno una croce all’interno.

 

(fig.5)

Il quadrato al centro per Testa rappresenta il Cristo attorno a cui ruota il cosmo in cui i quattro X, corrispondenti alla lettera ebraica taw che nell’alfabeto sacro dei giudeocristiani significa la gloria della Croce e la fine del mondo (Testa Simbolismo pag 146), indicano i quattro punti cardinali; i quattro esagoni e gli otto triangoli che si formano con l’intersecarsi dei quattro taw simboleggiano la Tetrade e l’Ogdoade ma anche i dodici segni dello zodiaco che ruotano intorno al Cristo. Le due croci sono gli alberi dell’Eden, a indicare che il neofita è ritornato allo stato edenico originario, e il P (cioè il rho greco) della Croce monogrammata posta al centro è il “Figlio della promessa”[29], cioè il Messia, che è anche il Serpente salvifico innalzato da Mosè, e quindi si identifica con il Drago cosmico che per gli Ofiti era “il Re delle sfere celesti” (Epifanio Adv haer XXXVII, in PG 41, 649), simbolo del nord e quindi della Stella Polare.

In tal modo al catecumeno che aveva compiuto il percorso per entrare nella pienezza della Gnosi il Cristo si disvelava in tutta la sua potenza quale Stella Polare attorno alla quale ruota il cerchio celeste dello Zodiaco ma anche, sul piano angelico, la Tetrade e l’Ogdoade che, nel pensiero giudeocristiano come in quello gnostico, governano il cosmo.

 

 


[1] Uno studio completo dal punto di vista teologico ed archeologico, che qui citeremo più volte, è l’opera di TESTA Nazareth giudeo-cristiana Tipografia dei Frati Francescani, Gerusalemme 1969. Da questo testo sono tratte alcune delle immagini riprodotte nel testo.

[2] Una buona traduzione delle loro omelie più importanti si trova nel saggio di Quacquarelli Le catechesi ai misteri, ed. Città Nuova Roma 1977; rimandiamo all’introduzione di Quacquarelli al testo per quanto concerne la vita e le opere di questi due scrittori.

[3] ETERIA Diario di viaggio, ed. Paoline, Alba 1979 pag. 134.

[4] Le notizie sulla grotta dell’Eleona sono tratte dal sito Internet dello Studium Biblicum Francescanum di Gerusalemme.

[5] Sull’argomento cfr. DANIELOU, La teologia del giudeo-cristianesimo, ed. Il Mulino, Bologna 1964, Introduzione pagg. XXXII ss. e pagg. XLIV ss. (d’ora in poi GC).

[6] Per i testi pervenutici cfr. ERBETTA Gli apocrifi del Nuovo Testamento, ed. Marietti, Torino 1975, vol. I pagg. 114 ss. (d’ora in poi ANT); ivi anche la discussione circa le origini di tali testi e del loro contenuto.

[7] GC pag. 37.

[8] GC pag. XXVIII, pag. 38 e pag. 514; HE III 5, 3.

[9] Tra di esse segnaliamo come curiosità il fatto che in una citazione di Sedulio Scoto dal Vangelo dei Nazareni sono riportati i nomi dei tre Re Magi, Melchus, Gaspare e Phadizarda (ANT pag. 130), tutt’ora conservati dalla tradizione popolare.

[10] Per l’Abbazia di Valvisciolo e la sua appartenenza all’Ordine del Tempio si veda NEGRI Abbazie cistercensi in Italia, ed. Tellini, Pistoia 1981 pagg. 220 ss.

[11] De laude Const IX 17; Vita Const III 43.

[12] TESTA Il simbolismo dei giudeocristiani, ed. Francesca Printing Press, Gerusalemme 1981 pag. 80.

[13] Questa chiesa è stata da noi descritta ed illustrata nel già citato saggio Le vie della Gnosi.

[14] Catechesi mistagogica II: “L’occidente è il luogo delle tenebre visibili, un’oscurità che essendo tenebrosa nelle tenebre ha il potere”.

[15] La lettera ebraica waw nell’alfabeto sacro indicava la congiunzione e l’integrazione con la Parousia del Cristo e significava anche il Cristo come psicopompo e quindi per traslato anche Michele, che nel giudeo-cristianesimo è identificato col Cristo (cfr. TESTA Il simbolismo pag. 145); nella numerologia ebraica waw indica il numero sei, e Michele è il primo dei sei Arcangeli Protoctisti, i Primi-Nati, di cui il settimo è lo stesso Cristo che ne è il capo (idem pag. 61). Inoltre il Cristo è Luce e qui infatti lo troviamo collegato con il rinascere del neofita dal buio (che è anche simbolo della tomba) per consegnargli la lampada: “Alzati tu che dormi e risorgi dai morti e ti illuminerà il Cristo” scrive Paolo (Ef V 14).

[16] MIGNE Patrologia Graeca 82, 545.

[17] Per ulteriori citazioni si veda TESTA Nazareth pag. 35; poiché quest' acqua era stata consacrata con il nome acrostico del Cristo

, cioè pesce, secondo Ottato di Milevi (TESTA idem) la vasca prendeva per questo motivo il nome di “piscina”.

[18] Singolare come anche a Roma, secondo la legge sacra di Numa Pompilio, le Vestali potessero fare uso, anche per i semplici doveri quotidiani, solo di acqua sorgiva e mai di acqua proveniente da acquedotti.

[19] È la figura della Madonna nota come Virgen del Pilar, simbolo della Potenza divina che si manifesta sul culmine dell’axis mundi.

[20] GRANT Il Vangelo segreto, ed. Mursia Milano 1964, nel quale si riporta il testo di un frammento di papiro attribuibile ad una versione del Vangelo di Marco non presente nel testo ufficiale e che si inserirebbe alla fine del capitolo X, nel quale si fa riferimento ad una cerimonia notturna sulle rive di un ruscello a cui partecipano solamente il Cristo e Lazzaro resuscitato, vestito solo di un lenzuolo. Ovviamente non accettiamo certe tesi esposte dall’Autore; la critica più recente mette per altro in dubbio l’autenticità del frammento di papiro oggetto dello studio di Morton.

[21] CIRILLO Catechesi XIV in Testa Nazareth pagg. 45-46.

[22] CIRILLO Catechesi I in Testa ibidem.

[23] NARSAI DI NISIBI cit. in Testa Nazareth pag. 47.

[24] Ricordiamo per inciso che anche nel rito dei Lupercalia si usava uno strumento, e precisamente un coltello bagnato col sangue del capro sacrificato, per toccare la fronte dei giovani iniziati al sacerdozio dei Luperci, con un rituale che può essere accostato al sacramento della Cresima. Di questo abbiamo trattato in La Pasqua cristiana ed i riti romani di Febbraio in “Simmetria”, anno 2000 n° 1, riveduto e ampliato in Simmetria on line sul sito www.simmetria.org.

[25] ORIGENE Contro Celso, ed. UTET. Torino 1971, VI, 24 -25 e 30-38.

[26] L' identificazione era basata sul fatto che nella ghematria ebraica sia Mesiah, cioè Messia, che Naas, serpente, equivalgono a 358.

[27] ORIGENE Contro Celso VI, 30-31.

[28] Il disegno a scacchiera si ritrova in molti simbolismi, ci limiteremo a ricordare il significato esoterico del gioco degli scacchi e quindi della scacchiera, nonché il pavimento della Loggia massonica, in cui si ha una scacchiera di 9x11 quadrati bianchi e neri alternati. Esso richiama alla mente anche una delle possibili rappresentazioni del Beauceant, lo stendardo dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio, di cui si sa che era bianco e nero partito, descrizione che da taluni autori viene interpretata come partizione in due, come infatti si vede negli affreschi di San Bevignate a Perugia, oppure come un disegno a scacchiera.

[29] Il monogramma forma quello che viene chiamato il “simbolo costantiniano”, che è formato non dalle prime due lettere del nome del Cristo Χριστος ma dalla P rho, che numericamente è 100 ed indica Abramo che centenario genera Isacco promesso da Dio, posta sopra il T tau, simbolo per eccellenza della croce (Testa Simbolismo pag. 395). A sua volta il simbolo greco deriva da un simbolo in lettere ebraiche formato dal sommarsi di + taw nella variante orizzontale, di ן waw e dell’apice י, ma questo ci porterebbe troppo lontano dal presente lavoro.

 

(Autore: Paolo Galiano, pubblicato il 22 gennaio 2013)