Il Cristianesimo antico: l'età patristica

                                                   (Yuri Leveratto)

 

                      


Il Cristianesimo antico (o primitivo), è iniziato con la Risurrezione di Gesù, e si è diffuso da Gerusalemme a tutto il mondo antico attraverso l’azione instancabile degli Apostoli e degli altri seguaci di Cristo.
I documenti più significativi nei quali si descrive l’età apostolica, ovvero il periodo dalla Risurrezione alla morte di Giovanni, sono gli Atti degli Apostoli, le Lettere di Paolo, e le altre opere che conformano il Nuovo Testamento.
Tuttavia vi sono altri documenti, come la Prima Lettera di Clemente di Roma, dove si descrivono alcuni fatti dell’età apostolica, per esempio il martirio di Pietro e l’instancabile opera di evangelizzazione di Paolo (1).
Durante il primo secolo d.C. i cristiani furono perseguiti duramente, in quanto non riconoscevano la “divinità” dell’imperatore e predicavano il Vangelo di Cristo, affermando che solo la fede in lui e il pentimento dei propri peccati avrebbero portato alla salvezza e quindi alla vita eterna. Tutto ciò era in forte contraddizione con la religione e con la cultura romana, la quale vedeva l’essere umano come un semplice animale sviluppato e non un essere sacro, al centro del progetto divino.
Le persecuzioni contro i cristiani iniziarono sotto l’imperatore Nerone. L’imperatore Vespasiano, dopo le guerre giudaiche, ordinò di ricercare tutti i discendenti della stirpe di Davide. In seguito Domiziano tornò a perseguitare i cristiani, con inaudita ferocia.
Dopo la morte di Giovanni- l’Apostolo di Gesù Cristo che visse più avanti nel tempo -avvenuta indicativamente il 100 d.C. ad Efeso, non vi era più alcuna persona che avesse conosciuto il Salvatore del mondo.
Il Cristianesimo però, malgrado le terribili persecuzioni romane, sopravvisse, anzi si diffuse “come il fuoco in un bosco secco”.
Come fu possibile?
Chi furono i sucessori degli Apostoli e quale era il loro stile di vita?
Perchè riuscirono a far accettare la nuova fede in Dio a masse di persone che fino a pochi anni prima riconoscevano come divina la persona dell’imperatore o adoravano idoli?
Innanzitutto bisogna considerare che le chiese cristiane che sorsero nel I secolo, e che poi si svilupparono nel secolo successivo, non erano organizzate in modo gerarchico, in pratica non vi era un “papa” o capo della Cristianità. Contrariamente a quanto si può pensare, il successore di Pietro, il cui nome era Lino, non era il capo della Chiesa cristiana, ma era solamente il capo della Chiesa cristiana di Roma.
Ogni città aveva il suo vescovo: Alessandria d’Egitto, Efeso, Antiochia, Gerusalemme, Olimpo, Filippi, Corinto, Cartagine, ecc.
L’indipendenza di ogni congregazione dalle altre, rendeva così impossibile che qualsiasi insegnamento erroneo, cioè diverso dalla parola del Signore, e che qualsiasi nuovo dogma, si estendesse alle altre comunità.
Inoltre i vescovi non erano stati educati al di fuori della comunità dove professavano, ma vi erano cresciuti all’interno, erano conosciuti da tutti e a tutti dovevano rispondere delle loro azioni.
Siccome la credenza cristiana esige dei cambi radicali non solo a parole, ma anche nei fatti, i vescovi che predicavano questo cambio di paradigma dovevano dimostrare nei fatti che loro per primi erano disposti a lasciare tutto per Gesù Cristo. Non solo dovevano dimostrare di vivere in modo integerrimo e mite, non solo dovevano abbandonare le loro proprietà materiali per donarle alla comunità, vivendo così in condivisione dei beni, ma dovevano essere disposti ad anteporre Cristo persino alle loro vite.
Ed è quello che fecero: infatti la maggioranza dei vescovi o dei saggi cristiani che vissero dopo la morte di Giovanni, nella cosidetta “età patristica”, morirono martirizzati, dando l’estrema testimonianza di Gesù Cristo  (martire significa testimone, in greco).
Mi riferisco, per esempio, a Clemente di Roma (morto nel 100 d.C.), Ignazio di Antiochia (35-107 d.C.), Policarpo di Smirne (69-155 d.C.), Giustino Martire (100-168 d.C.), Ireneo di Lione (130-202 d.C.), Ippolito di Roma (170-235 d.C.), Origene (185-254 d.C.), Cipriano (210-258 d.C.), Metodio di Olimpo (250-311 d.C.)
La loro principale forza, dunque, fu la fede incrollabile in Cristo e la dimostrarono col martirio.

Sul processo di nomina di un nuovo vescovo analizziamo uno scritto di Cipriano (2):

Deve essere scelto in presenza della gente e deve dimostrare di essere degno e appropriato mediante un giudizio e una testimonianza pubblica. Per poter nominare un nuovo vescovo in modo appropriato, tutti i supervisori della stessa provincia devono riunirsi in una congregazione. Il vescovo deve essere scelto in presenza della congregazione, e tutti devono conoscere la sua vita e i suoi costumi.”

E sull’integrità e moralità dei cristiani leggiamo una parte di uno scritto di Ignazio (3):

E’ necessario pertanto, non solo essere chiamato cristiano, ma essere realmente cristiano…Se non siamo preparati per morire allo stesso modo del nostro Salvatore, la sua vita non sta in noi.

Un’altra caratteristica dei primi cristiani era la cosidetta separazione dal mondo. Vediamo a tale proposito i celebri passi del Vangelo di Giovanni (15, 18-19):

Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che gli appartiene. Poichè invece non siete del mondo, ma io vi ho eletti dal mondo, per questo il mondo vi odia.

In effetti i primi cristiani dimostrarono di non essere interessati alle tentazioni del mondo. Non erano interessati al denaro, nè al potere. Vivevano nel mondo, eppure non ne facevano parte. Fu solo a partire dal cosidetto ibrido costantiniano che le cose cambiarono. Nei 280 anni che vanno appunto dalla Risurrezione fino all’Editto di Milano, i cristiani vissero in contesti non frivoli, nè mondani, quindi piuttosto austeri. Non che non fossero felici, s’intenda, ma la loro allegria derivava dalla fede, e non certo dalle possessioni materiali o dal potere terreno. Vediamo a tale proposito due scritti di Erma, fratello di Pio, vescovo di Roma

(4):
Infatti, quelli che hanno fede, e che però hanno anche le ricchezze di questo mondo, così sono. Quando arriva la prova, negano il Signore per mantenere le loro ricchezze e affari. Pertanto coloro i quali sono ricchi in questo mondo non possono essere utili al Signore a meno che prima di tutto si riducano le loro ricchezze. Nel vostro caso apprendete prima questo. Quando voi eravate ricchi eravate inutili. Però adesso siete utili e adatti alla vita.

(5):
Astenetevi dagli affari ed eviterete il peccato. Coloro che sono occupati con i loro affari commettono molti peccati, e i loro affari li distraggono, invece di servire il Signore.

Proprio la separazione dai piaceri mondani, quindi dall’apparire, dal mostrarsi, dal culto del possedere, non fecero che rafforzare la loro attitudine all’aiutare ed amare il loro prossimo, sia egli cristiano o non cristiano.
Vediamo a tale proposito una citazione di Giustino Martire (6):

Noi, che davamo valore ad acquisire ricchezze e beni materiali più che a qualsiasi altra cosa, adesso mettiamo ciò che abbiamo in un fondo comune e lo condividiamo con chiunque ne abbia bisogno. Ci odiavamo e ci distruggevamo tra di noi e non volevamo associarci con popoli di altre razze o paesi. Adesso, per Cristo, viviamo insieme a queste persone e preghiamo per i nostri nemici.

Ecco come Clemente di Alessandria descriveva il buon cristiano (7):

Impoverisce se stesso a causa dell’amore, assicurandosi che niente sarà più importante di aiutare un fratello in difficoltà, in special modo se sa che può sopportare la povertà meglio di lui. Allo stesso modo, considera il dolore dell’altro come il suo proprio dolore. E se soffre alcuna difficoltà non si lamenta.

Da questa e altre citazioni dei testi patristici risulta pertanto che i cristiani del II e III secolo si dedicavano realmente al prossimo, non solo al prossimo cristiano, s’intenda.
Un’altra delle loro caratteristiche era il fatto che non solevano portare in un giudizio un loro “fratello”, ma tentavano di dirimere le controversie in modo pacato, con il dialogo e la comprensione.
Il loro spirito ultra-conservatore li portava inoltre a considerare che non ci dovesse essere nessuna nuova rivelazione dopo i testi del Nuovo Testamento. Ogni possibile cambio o aggiunta ai testi sacri era pertanto visto come un grave errore.
Come potevano vivere, i primi cristiani, all’interno di società, la romana e la greca, profondamente corrotte, sia dal punto di vista della moralità che da quello dei costumi sessuali?
I cristiani si trovavano letteralmente a nuotare contro corrente.
Innanzitutto il fatto stesso di non fare i sacrifici rituali agli dei pagani o di non bruciare incenso in onore del “genio” dell’imperatore, che era riconosciuto il “dio” protettore dei romani, era già di per sè una situazione che li esponeva alla morte. In effetti molte persecuzioni contro i cristiani ebbero origine proprio a causa dell’ostinato rifuto dei cristiani di sottoporsi a rituali per loro senza senso.
I primi cristiani erano però anche in contrasto con la cultura del tempo e non solo con la religione greca o romana. Prendiamo il caso dell’aborto: nella Roma imperiale era una pratica comune e tollerata. La vita umana infatti non era considerata sacra, vista come il progetto di Dio, da preservare ad ogni costo. L’essere umano era ritenuto solamente un animale che aveva sviluppato delle qualità intellettive particolari, ma non era considerato su un piano superiore agli altri esseri viventi. Pertanto il feto poteva essere distrutto senza problemi, esattamente come alcuni schiavi venivano gettati nell’arena in balia di bestie feroci, solo per il divertimento delle masse.
I primi cristiani si opponevano tenacemente a tutto ciò. A tale proposito vediamo uno scritto di Tertulliano (8):

Nel nostro caso, giacché l’assassinio è assolutamente proibito in ogni sua forma, neppure potremmo uccidere il feto nell’utero. Fermare una nascita è semplicemente una forma più rapida di uccidere. Non importa se si uccide una vita appena nata o se si distrugge una vita che ancora non è nata.

I primi cristiani erano inoltre contrari all’istituzione della schiavitù, giacchè nell’insegnamento di Cristo tutti gli uomini sono liberi e nessuno deve prevalere o dominare l’altro.
Ecco una citazione di Lattanzio che sancisce questo concetto (9):

Davanti agli occhi di Dio, nessuno è schiavo, e nessuno è padrone. Siccome tutti abbiamo lo stesso Padre siamo tutti suoi figli. Nessuno è povero agli occhi di Dio eccetto chi non ha giustizia. Nessuno è ricco eccetto chi ha tante virtù.

Vediamo ora quale erano le credenze dei primi cristiani in relazione al battesimo. Credevano che il battesimo avrebbe purificato i peccati di una persona? Pensavano forse che senza battesimo un bambino sarebbe stato condannato?
Niente affatto. Per primi cristiani il battesimo non era considerato un rituale magico che potesse salvare una persona, a meno che non fosse accompagnato dalla fede in Gesù Cristo e dal vero pentimento dei propri peccati. In pratica il battesimo attuato senza fede, non aveva alcun valore. Quindi sostenevano che i bambini non battezzati che morivano nell’infanzia potevano salvarsi, a differenza del dogmatico Agostino di Ippona (354-430 d.C.).
Vediamo, a tale proposito un passo di Giustino Martire, nella sua opera “Dialogo con Trifone” (10):

Non c’è altro modo, (per ottenere le promesse di Dio), che questo: conoscere Cristo, bagnarsi nella fonte della quale parlava Isaia per la remissione dei peccati, e per ultimo, condurre una vita senza peccato.

Che cosa sostenevano i primi cristiani a proposito della salvezza?
Secondo la maggioranza degli storici, tra i quali lo statunitense David Bercot, durante il Cristianesimo antico pertanto, sia nell’era apostolica che nell’era patristica, si credeva che la fede in Dio fosse assolutamente essenziale per la salvezza e che senza la grazia di Dio, nessuno potesse salvarsi.
Tuttavia nel corso dei secoli sucessivi si svilupparono ampie diatribe tra i sostenitori della salvezza per fede e quelli della salvezza attraverso le opere. Secondo queste due tendenze quindi o la salvezza è un regalo di Dio, o si consegue attraverso le opere buone.
Queste polemiche però furono introdotte dal dogmatico Agostino di Ippona (354-430 d.C.), e in seguito da Martin Lutero (1483-1546), e non esistevano ai tempi del Cristianesimo antico.
I cristiani dei primi tre secoli, avevano chiaro che solo attraverso la fede assoluta si può ottenere la salvezza. Il loro ragionamento considerava naturalmente che una fede senza opere, non è vera fede. Ma a tale proposito vediamo alcune citazioni dei primi cristiani dell’età patristica.
Clemente di Roma per esempio (11):

E noi, dunque, che per Sua volontà siamo stati chiamati in Gesù Cristo, non siamo giustificati nè per la nostra sapienza o intelligenza o pietà o le opere compiute in santità di cuore, ma per la fede con la quale Dio onnipotente giustificò tutti sin dal principio. A Lui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Lo stesso Clemente però esorta a compiere opere buone (12):

Che faremo o fratelli? Cesseremo di fare il bene e trascureremo la carità? Giammai permetta il Signore che questo avvenga tra noi, ma con zelo ed ardore sforziamoci di compiere ogni opera buona.

Allo stesso modo consideriamo due citazioni di Policarpo, il discepolo di Giovanni. Nella prima riporta un celebre passo della Lettera agli Efesini di Paolo (13):

Molti desiderano entrare nella gloria del Signore, sapendo che: “Infatti siete salvi per la grazia, tramite la fede: ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio; non dalle opere, perché nessuno se ne vanti “(Efesini, 2, 8-9).

Nella seconda citazione però lo stesso Policarpo esorta a fare opere di bene (14):

Colui il quale resuscitò dai morti, ci risusciterà, se facciamo la sua volontà e seguiamo i suoi comandamenti e amiamo quello che lui ama, mantenendoci lontano da ogni corruzione.

Vediamo ora il pensiero di Clemente di Alessandria in riferimento alla salvezza attraverso la fede (15):

Abramo non fu salvato per le sue opere, ma per la fede (Romani, 4, 3). Pertanto anche se realizzate buone opere adesso, ciò non vi aiuterà dopo la morte, se non avete fede.

Lo stesso Clemente però afferma (16):

Chi riconosce la Verità e si distingua per le sue opere buone otterà la vita eterna…Alcune persone recepiscono questo messaggio (Dio fornisce loro il potere necessario), però siccome danno poca importanza alle opere che conducono alla salvezza, non sono suficientemente preparati per conseguire l’obiettivo della loro speranza.

In quest’ultimo passaggio Clemente ribadisce che dopo “aver riconosciuto la Verità”, ossia dopo aver affermato la Verità in Cristo, il credente deve fare delle opere di bene per ottenere la vita eterna.
Da queste citazioni si evince pertanto che i primi cristiani davano priorità alla fede in Cristo per il raggiungimento della salvezza. Per loro non vi era affatto diatriba tra fede e opere, proprio perché se la fede è vera deve necesariamente includere anche le opere di bene.
Da tutto ciò si giunge alla conclusione pertanto che il mondo greco-romano e la cultura dei primi cristiani, derivata ovviamente dalla loro fede in Cristo, erano due pianeti opposti, che irrimediabilmente si sarebbero scontrati frontalmente.
Uno dei due sarebbe stato inglobato dall’altro. E così in effetti fu, il mondo antico greco-romano scomparve e fu trasformato nella civiltà cristiana, anche se essa, nel periodo dell’ibrido costantiniano, fu parzialmente annacquata e corrotta.


(Autore: Yuri Leveratto; l'articolo originale è presente nel suo blog). Pubblicato in questa sede il 18/02/2016

Bibliografia:

  • Che parlino i primi cristiani, David Bercot


Note:
(1) Vi sono inoltre altre testimonianze che descrivono il martirio di Paolo, sotto l’imperatore Nerone, come la lettera ai Romani di Dionigi, vescovo di Corinto:
Con una tale ammonizione voi avete fuso le piantagioni di Roma e di Corinto, fatte da Pietro e da Paolo, giacchè entrambi insegnarono insieme nella nostra Corinto e noi ne siamo i frutti, e ugualmente, dopo aver insegnato insieme anche in Italia, subirono il martirio nello stesso tempo”. O come la testimonianza di Gaio, vissuto a Roma al tempo del vescovo Zefirino. Egli, in uno scritto contro Proclo, capo della setta dei Catafrigi, dice a proposito dei luoghi dove furono deposte le sacre spoglie degli apostoli: “Io ti posso mostrare i trofei degli apostoli. Se andrai al Vaticano o sulla via Ostiense, vi troverai i trofei dei fondatori della Chiesa”. Queste due ultime testimonianze sono tratte dalla “Storia ecclesiastica” di Eusebio.
(2) Cipriano, Lettera alla congregazione della Spagna (epistola 67, capitoli 4, 5)
(3) Ignazio, Lettera ai Magnesi, cap. 5
(4) Erma, Il pastore di Erma, tomo 1, vis.3, cap.6
(5) Erma, Il pastore di Erma, tomo 3, sim.4
(6) Giustino, prima apologia, cap.14
(7) Clemente di Alessandria, Miscellanea, tomo 7, cap. 12
(8) Tertulliano, Apologia, cap.9
(9) Lattanzio, Istituzioni divine, tomo 5, cap.15/16
(10) Giustino, Dialogo con Trifone, capitolo 44
(11) Prima Lettera di Clemente, cap. 32, 4
(12) Prima Lettera di Clemente, cap. 33, 1
(13) Policarpo, Lettera ai Filippesi, cap. 1
(14) Policarpo, Lettera ai Filippesi, cap. 2
(15) Clemente, Miscellanea, tomo 1, cap. 7
(16) Clemente, uomo ricco, cap. 1, 2

 

Argomento: L'età patristica

comunicazione

Cristina | 25.03.2016

Meraviglioso articolo. Non sapevo,che esisteva un' età patristica.Scrivete,ancora sulle età antiche. Grazie.

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