Report Convegno "Magia, stregoneria e divinazione"

Torino, 30 novembre 2019

(a cura di Marisa Uberti)
 
 
 

Si è svolto sabato 30 Novembre 2019 il VI Convegno organizzato dalla Casa Editrice Yume di Torino sul Pensiero Magico contemporaneo, presso la sede di Via S. Quintino, 18/C. Il tema dell’incontro è stato “Magia, stregoneria e divinazione” ed ha riscosso un grande successo di pubblico, avendo tutti i posti a sedere esauriti (tanto che si ripeterà l’evento il 25 gennaio 2020).

Il convegno ha avuto inizio alle ore 14.30, introdotto e moderato dalla d.ssa Katia Bernacci, co-fondatrice della Yume Book e perfetta padrona di casa. Il primo relatore a prendere la parola è stato l’antropologo prof. Massimo Centini che ha parlato di “Magia diabolica o magia sciamanica, dai rituali arcaici al sabba”.

L’argomento ha preso avvio da uno studio partito negli anni ’50 del secolo scorso e inerente un processo per stregoneria avvenuto a Levone Piemonte (TO) nel 1474, del quale un paio di anni fa sono stati ripubblicati gli atti del processo. Esso appare, a detta del relatore, molto interessante per due principali motivi: anzitutto per la presenza del documento del processo integrale (parte istruttoria e sentenza) e per l’inquadramento che fu dato alle stregoneria in quel caso. Il relatore, per fare capire adeguatamente il quadro, ha spiegato che esistono diverse scuole di pensiero in merito alle “streghe” e c’è chi sostiene che, di fatto, esse non  fossero le “adepte del diavolo” come spesso vengono bollate dalla storiografia, ma che fossero persone che praticassero culti legati ancora alla religione pagana, vista come credenza o pratica demoniaca dagli Inquisitori.

La prima studiosa che lanciò questa ipotesi fu l’egittologa britannica Margaret Murray (1863-1963), la quale – in veste di antropologa – indagò il folklore europeo, cosa che le consentì di individuare una religione pagana precristiana in grado di sopravvivere sottotraccia per secoli, anche dopo l’instaurarsi del Cristianesimo come religione ufficiale (IV secolo d.C.). In quanto pagana, la minoritaria religione sarebbe stata avversata e perseguitata come stregoneria da parte del nuovo potere religioso, con particolare violenza repressiva durante il periodo compreso tra la fine del Medioevo e l'inizio del secolo XVIII, un periodo che è passato alla storia come la “caccia alle streghe”. Come immaginabile, la teoria della Murray scatenò molte polemiche tanto che, dopo rigorosi studi antropologici, venne smentita negli anni ’60[1].

Una ventina di anni dopo, lo storico prestato all’antropologia Carlo Ginzburg nel libro “Storia notturna. Una decifrazione del sabba” ha ripreso le teorie della Murray, usando una metodologia diversa al passo con i tempi, maggiormente scientifica sotto certi aspetti. Lo scrittore ha analizzato i rituali “stregoneschi” in base ai racconti propri di chi li praticava (uomini e donne accusati di stregoneria) e ha constatato che le circostanze, per più di tre secoli, si sono dimostrate sempre le stesse: il raduno che si svolge di notte alla presenza del diavolo, la celebrazione di banchetti, le orge sessuali, le cerimonie antropofagiche, le profanazioni di riti cristiani. Tali racconti, estorti prevalentemente sotto atroci torture, celerebbero qualcosa di diverso, che Ginzburg ha interpretato come uno sfondo sciamanico.

Centini ha quindi portato l’attenzione sul processo di Levone Piemonte in cui furono imputate 4 donne (di cui due finirono sul rogo) accusate di avere “commesso incantesimi e stregherie, e prevaricato dalla fede nostra e del Salvator Gesù Cristo”. Bisogna individuare due tipi di “reato” (per la concezione di allora): quello civile-penale e il crimine religioso. Una delle azioni più nefande che le streghe avrebbero commesso era l'induzione della morte dei bambini, secondo un rituale consolidato: il rapimento dei bambini dalle culle per essere portati al sabba. Qui venivano mangiati/cotti, fatti resuscitare, riportati nelle culle e da lì a qualche giorno morivano (era un buon modo per giustificare l’elevata mortalità infantile!). Nel caso di Levone i capi di accusa furono 55 e uno di questi riguardava non i bambini ma gli animali.

Dei manzi infatti sarebbero stati sottratti alle loro stalle, portati al sabba, uccisi, cotti e mangiati. Alla fine del sabba, le ossa e le pelli degli animali furono sottoposti a una magia che li fece risorgere. Riportati al loro posto, i manzi di lì a pochi giorni morivano. Appare chiaro che questo non poteva essere vero in quanto nessuna pratica poteva provocare tali fenomeni e gli animali probabilmente morivano di malattia, tuttavia incolpare le streghe era la prassi. E a credere a questo non erano solo i contadini o gente di poca cultura ma fior di giuristi, medici, teologi (indistintamente protestanti o cattolici e pure laici).

Il caso di animali mangiati, resuscitati con pratiche magiche, restituiti e morti poco dopo o inabili a lavorare, lo si ritrova- ha spiegato Centini- in altri processi dell’Inquisizione (es. a Modena  e in  Trentino) e il denominatore comune è la figura di una “domina cursus” (la strega che presiedeva alle operazioni durante il sabba). Alcuni autori provarono a dire che si trattava di un fenomeno del tutto illusorio ma senza successo. Ed è dalla riflessione su quanto di vero ci potesse essere nella descrizione dei sabba (con donne che volavano, ecc.) che nacquero, dopo i secoli dell'oscurantismo, nuove interpretazioni sulla stregoneria e sul suo possibile risvolto sciamanico, ovvero come una reminescenza di culti pagani precedenti. La descrizione del diavolo è sovrapponibile a quella delle antiche divinità pagane zoomorfe (capri, equini, cornuti, ecc.), così come la presenza di uccelli totemici.

Le ossa e la pelle dei buoi sono presenti anche nelle tradizioni cristiane, ha proseguito Centini. Nella Vita di San Germano evangelizzatore rintracciamo un rito interessante: mentre egli cerca un posto dove passare la notte e nessuno gli presta aiuto, un povero contadino si offre di ristorarlo e uccide l’unico capro che possiede, dandone da cibarsi al santo che, dal canto suo, dice di non rompere le ossa. Dopo che tutti se ne sono cibati, San Germano ricompone l’ossatura dell’animale, che risorge. Nelle saghe nordiche, il dio Thor quando mangia ritualmente dice di non rompere le ossa e fa risorgere gli animali mangiati, ricomponendo le ossa medesime. Quale relazione è possibile con lo sciamanismo?

Nella cultura sciamanica, ha detto il relatore, troviamo un rapporto con le ossa delle persone (smontaggio e rimontaggio) molto forte, soprattutto dell’area nord-orientale europea: qui l’idea che lo sciamano venga smontato dagli spiriti e le ossa che non servono vengano buttate o sostituite è molto forte, così come è molto forte la visione cosiddetta “a raggi X” (in alcune rappresentazioni rupestri si vede il corpo dell’animale con le strutture anatomiche interne). Nel finale della sua interessante esposizione, il relatore ha parlato di finzione rituale e della toponomastica ancora oggi esistente legata al diavolo: chi non ha sentito parlare di un ponte del diavolo, della sedia del diavolo, della montagna del diavolo, della grotta del diavolo, della pietra delle streghe, ecc.? Sono luoghi i cui nomi li rendono “altro” rispetto al resto che li circonda.

Dopo gli stimolanti spunti forniti dal prof. Centini, è stata la volta di Enrico Giacovelli – torinese e critico cinematografico – che ha presentato un’originale conferenza basata su spezzoni filmati inerenti alcune famose opere  in cui la magia e l’incanto sono protagonisti. Il titolo “Il trucco e l’incanto. Arti magiche e magia della vita in Accadde domani, Mary Poppins, Il mago di Oz, L’Illusionista, 8 e 1/2 e altri film” non ha deluso le aspettative dell’attento pubblico. Il relatore ha spiegato che esistono tre gradi di magia: -esoterica, che prova a controllare le forze della Natura; - teatrale, quella che usa l’illusionismo, il trucco; - l’incanto, la magia capace di incantare la gente. Tutti e tre sono presenti nei films di cui  Giacovelli ha trattato; esse coesistono in qualche modo.

Nel cartone animato L’Illusionista (basato su una storia scritta negli anni Cinquanta da uno dei più grandi mimi e rappresentanti del cinema francese, Jacquet Tati) un mago di quelli “con il coniglio che esce dal cappello” assiste al declino della propria arte, un po’ alla volta, soppiantata da nuovi richiami – in questo caso il rock’n’roll – che ha un altro ritmo, un’altra velocità e che porta con sé un altro mondo. Parte dalla grande Parigi, con la valigia e la sua gabbia, per andare dove modestamente lo ingaggiano per i suoi spettacoli, adattandosi ora in un teatro londinese, ora in un pub scozzese. L’importante è usare i suoi trucchetti per sopravvivere ed essere ammirato. Ad un certo punto incontra una ragazzina, cameriera di un pub, bruttina e poco avvenente che lo costringerà a cambiare vita e a fermarsi un attimo di più a Edimburgo per farle credere che la magia esiste e sentendosi quindi  ancora importante. La giovane diventerà, grazie ai trucchi del mago, bella ed elegante e lui potrà mantenerla. Ma nel finale il gioco non può più reggere: il mago capisce che le sue magie non servono più a nessuno e allora parte, lasciando alla ragazza dei soldi, un mazzo di fiori e un biglietto su cui è scritto: “i maghi non esistono”. La giovane, che aveva sempre creduto in quelle magie, si ritrova sconsolata ma troverà qualcosa di reale e di più importante: l’amore. La magia, fatta di incanti e di luci, si spegne, mentre i due giovani camminano controcorrente rispetto alla folla, per la via. Tutte le luci della città  si spengono ma a sorpresa una piccola luce resta accesa, sotto l’insegna del Music Hall, una luce che si anima e se ne va, come una fata. La morale della storia insegna che se pensiamo che qualcosa esista, quella cosa esiste veramente, almeno dentro di noi.

Ne Il Ladrone (P. Festa Campanile, 1980) il protagonista Caleb (interpretato da E. Montesano), contemporaneo di Gesù di Nazareth, vive di furti e truffe fingendosi mago, grazie a una buona abilità. Siamo davanti al secondo grado della magia, quella teatrale che ha bisogno di trucchi per incantare la gente, da sfruttare per sopravvivere. Assistendo ai molteplici miracoli compiuti da Gesù, egli li interpreta  come trucchi e vede in lui un concorrente più bravo, nonostante Gesù sappia guarire da malattie e far risorgere i morti. Caleb fugge da questa verità perchè non può pensare che esista veramente qualcosa di "miracoloso". Solo quando Caleb finirà inchiodato sulla croce, alla destra del Nazareno, riconoscerà che i miracoli non erano trucchi. Al contempo riflette su ciò che ha avuto dalla vita e si considera appagato, contento e muore felice.

Nella pellicola Accadde domani (René Clair, 1944), ambientato in America nel 1890 e ricco di trucchi teatrali dell’illusionismo, Larry, un intraprendente giornalista si innamora e sogna con la sua ragazza un roseo futuro. Un giorno riceve un vero e proprio colpo di fortuna: un suo anziano collega gli fornisce le notizie dell'indomani attraverso un quotidiano che solo lui riceve e datato al  giorno successivo. Larry ottiene così un enorme vantaggio su tutti gli altri giornali poiché predice fatti che poi puntualmente si avverano. Larry si lascia prendere dal giuoco diabolico e ne seguono varie avventure che lo portano a una veloce carriera, al matrimonio e alla ricchezza. La resa dei conti arriva il giorno in cui, fra le notizie, trova quella della sua morte, che sarebbe arrivata l’indomani! Alla fine riuscirà a sottrarsi alla predizione e capirà di vivere senza trucchi e ugualmente felicemente.

Un altro capolavoro cinematografico intriso di colpi da teatro è 8 e ½ di (Federico Fellini, 1963), in cui la magia è anche celebrazione della vita, è opposizione della morte. Il protagonista è un regista- telepata (M. Mastroianni) che riesce a mettersi in comunicazione con i parenti defunti in una sorta di magia visionaria. Nonostante ciò, egli non riesce a portare avanti il suo film; ha perso l'ispirazione, non ricorda più quale film voleva fare e vive momenti di crisi fino a procurarsi una pistola e uccidersi. E’ l’antitesi della magia, ma nel finale il messaggio appare chiaro: la vita va presa come viene e c’è bisogno di qualcuno che abbia una sorta di bacchetta magica che ci tiri fuori ciò che alberga in noi. Fellini replicò in questa pellicola la sua stessa condizione (in quel momento aveva perso la "magia creativa"). Nell’inquadratura finale, a chiusura del “circo”, è come se il regista si rivedesse bambino, quando aspettava trepidante di addormentarsi per assistere a quell’impagabile e straordinario spettacolo che si può vedere solo nei sogni.

Ne Il mago di Oz (Victor Fleming, 1939), forse il più celebre di tutti i maghi cinematografici, il protagonista è apparentemente è un “vero” e potente mago che compie meraviglie ma che, alla fine, non si rivelerà affatto tale e cocente sarà la delusione dei protagonisti, che ne scopriranno le reali sembianze. È un uomo qualsiasi persosi nel mondo di Oz, dopo un viaggio in mongolfiera. Malgrado tutto il finto mago riesce ad esaudire i desideri degli amici di Dorothy, la protagonista: lo spaventapasseri ha dimostrato di essere molto intelligente, ha solo bisogno di un attestato che lo confermi; il leone, benché fifone, ha saputo affrontare pericoli per salvare Dorothy, ed è dunque premiato con una medaglia; l'uomo di latta si è dimostrato di buon cuore, disponibile e affettuoso, e gli viene dunque donato un orologio a forma di cuore che gli ricordi come, benché privo di un cuore vero, sappia comunque amare.

Il celeberrimo Mary Poppins (di Robert Stevenson, 1964) vede la protagonista possedere le qualità di una strega (arriva e parte volando grazie al proprio ombrello) e di una fata (compie prodigi); mette insieme la magia dei numeri teatrali di illusionismo schioccando le dita e la magia più grande, quella della vita, insegnando ai due piccoli di cui deve fare da bambinaia la gioia di vivere e l’incanto (non va dimenticato che la creatrice di Mary Poppins, Pamela Lyndon Travers, pseudonimo di Helen Lyndon Goff, era una seguace dell’esoterismo, del buddismo e della filosofia Zen). Finchè tutto va bene, Mary è benvoluta come una fata dai proprietari della casa ma quando il padre perde il lavoro, attribuisce il fatto alla presenza della bambinaia, che diventa allora una sorta di strega cattiva (“va tutto male da quando è entrata in questa casa. E’ colpa sua!”). Ma nel finale l’uomo comprende che esistono cose più importanti dei soldi e in famiglia tutto si riappacifica. Mary Poppins ha esaurito il proprio ruolo, è sola e riparte volando da chi ha ancora bisogno di lei, non potendo beneficiare lei stessa delle proprie magie.

Una gita scolastica (di Pupi Avati, 1983) racconta di una gita di liceali da Bologna a Firenze, in mezzo alla natura, nel 1914. La trama è rivissuta molti anni più tardi da una delle partecipanti, divenuta ottantatreenne e ormai prossima alla morte, che rivede il passato e gli avvenimenti di quell’esperienza, rimasta nella sua memoria, come un passato che non passa mai. Ricorda che ad un certo punto si fermarono perché c’era una “magia nell’aria”, un incanto che l’insegnante fece vivere agli studenti. Si tratta del terzo grado di magia, quella che è intorno a noi e che è anche dentro di noi. Ma anche l’incanto, con il termine della gita, è destinato a finire. “La realtà è una semplice illusione, sebbene molto persistente” (Albert Einstein), sono le parole con cui Giacovelli ha concluso la sua emozionante trattazione.

Un momento del convegno, con un pubblico numeroso e attento

 

Dopo una breve pausa si è ripreso con Marisa Uberti e il tema “Linguaggi magici e divinatori. Il caso della Triplice Cinta”. La relatrice è partita spiegando che cosa sia la Triplice Cinta, che abbrevieremo in TC), conosciuta anche come filetto, trija, tavola-mulino, Nine-Men’s-Morris, Merels Board, ecc., un gioco a pedine simmetrico che è stato tra i più popolari fino al secondo dopoguerra, soppiantato poi dalla televisione e dai giochi elettronici. Dopo avere accennato alla storia e alla geografia della Triplice Cinta, la Uberti ha detto che, al pari di altri giochi da tavolo (scacchi, oca, ecc.), lo schema cela significati che vanno oltre la valenza ludica e che la studiosa ha distinto in quattro grandi gruppi:

  1. Esoterico (religioso, magico-apotropaico, iniziatico);
  2. Distintivo/Professionale;
  3. Astronomico
  4. Artistico/Fecorativo

In questa sede è stato affrontato l’aspetto magico-apotropaico del soggetto, che è possibile riconoscere grazie alla grande quantità di esemplari raccolti nel censimento tuttora in atto presso il Centro Studi Triplice Cinta, fondato dalla relatrice nel 2013[2]. Il database (raccolto in vent'anni di ricerche e in costante aggiornamento) annovera quasi 1.200 esemplari per l’Italia e circa 2.700 in tutto il mondo. Dall’analisi quantitativa è stato possibile valutare e distinguere gli esemplari ludici (la stragrande maggioranza) da quelli che non lo sono. Tra questi ultimi va fatto un ulteriore discernimento per cercare di collocarli in uno dei gruppi orientativi di riferimento. In merito all’uso magico-apotropaico della Triplice Cinta, dall’Enciclopedia Treccani leggiamo anzitutto il significato del termine apotropàico agg. [der. del gr. ἀποτρόπαιος «che allontana», der. di ἀποτρέπω «allontanare»] (pl. m. -ci). – Che serve ad allontanare o ad annullare un’influenza maligna: oggetti, atti, animali a.; formule apotropaiche. E’ possibile che lo schema del triplice quadrato concentrico abbia funto a tale scopo? Alcuni casi presi in esame sembrano dirci di sì. I segni apotropaici si trovano comunemente in vecchi edifici, in particolare intorno a finestre e caminetti, canne fumarie, tetti, che si credevano (in contesti superstiziosi) particolarmente vulnerabili agli attacchi di streghe, spiriti e demoni.

Su una canna fumaria del piccolo borgo di Cavaion Veronese (VR) è stata scoperta una Triplice Cinta durante lavori di sistemazione. Potrebbe aver avuto una funzione di magia apotropaica, dato che in quella posizione non si giocava. Un altro reperto interessante è un frammento di tegola in ardesia ritrovata nell'ex- castello di Culemborg (Olanda), attualmente conservato nel Museo locale. Si tratta di una tegola sulla quale fu incisa una TC corredandola di "parole magiche" atte a scongiurare pericoli, allontanare malefici  o a propiziare la buona sorte; al centro dello spazio interno si nota una sorta di disegno a intreccio.

La relatrice ha mostrato altri esemplari interessanti, troppo piccoli e irregolari per giocare (1,5 cm di lato!), intagliati su porte in verticale (come a Buronzo, VC, in cui l'esemplare è pure sormontato da una croce) o accompagnati dal monogramma cristico JHS e aventi probabilmente funzione magico-apotropaica per l'edificio e/o i suoi occupanti. Molto interessante la TC disegnata con la nera fuliggine delle lampade a olio sul soffitto del cunicolo (a 11 m di altezza dal piano di calpestio) in una ex-miniera di calcare in Vallonia (Belgio), corredato di croci e accompagnato da altri simboli sacri e profani. Nel sito bavarese di Teufelstein (comune di Lichtenstein, ove sorgeva un castello altomedievale a 400 m di quota), su una roccia affiorante si trova una Triplice Cinta che ha tutti i requisiti per essere una tranquilla tavola da gioco se non fosse che è contornata da una leggenda, quella del Cavaliere di Lichtenstein, il proprietario del castello, che si narra usasse giocare con il diavolo alla tavola- mulino.

Un giorno, dopo aver perso, giocò il tutto per tutto e mise in gioco la sua stessa vita, o meglio la sua anima. Per non perderla, escogitò un’astuta mossa: fece sedere il diavolo contro il sole e, accecato dalla luce, il demone fece un errore permettendo così al cavaliere di avere partita vinta. La narrazione leggendaria, secondo la credenza popolare, sarebbe proprio confermata dall’incisione della TC  (e guai a chi la tocca!). La ricercatrice ha quindi focalizzato l’attenzione su quanto possiamo trovare in letteratura, per cercare testimonianze documentali di quelle che rimangono- in mancanza d’altro- delle ipotesi. Il grande esperto americano di tavolieri H. Murray, nel suo libro “A history of Board Games other than chess” (Clarendon Press, 1951), cita diversi casi in cui i giochi da tavolo, presso alcuni popoli, fungono da supporti divinatori durante specifiche feste o durante veglie funebri. E’ ipotizzabile che, al pari di quanto facessero gli antichi Egizi, si giochi l’anima del defunto per evitargli una “seconda morte”, più temuta della prima,  quella fisica.

Un libro che ha goduto di una certa fortuna (prima edizione 1989, ristampa nel 1997) è quello di Nigel Pennick “Secret games of the gods. Ancient Ritual Systems in Board Games”. In un passo si legge che la struttura della scacchiera del Nine-Men’s-Morris (nome anglosassone del filetto) racchiude "l'antica visione sacra della struttura del mondo e modalità di gioco che possono essere recuperate confrontando mito, leggenda e tradizioni popolari parallele”. Nigel Campbell Pennick è un biologo marino che si è molto occupato di occultismo, magia, magia naturale, divinazione, costumi popolari rurali, spettacoli tradizionali e arte celtica, nonché di runosofia. Nonostante il libro sia, a detta della relatrice, pieno di “luoghi comuni” da sfatare (a partire dall’erronea cronologia!), si sforza di togliere i giochi dalla semplicistica funzione di passatempi e stimola ad approfondirne le valenze magiche che, in determinate epoche e contesti culturali, sono evidentemente state importanti. La simbologia magica di base di una TC riguarda la delimitazione dei confini da non oltrepassare; quella linea sottile che separa il sacro dal profano. Tre quadrati concentrici creano una gerarchia: il più interno è assegnato all'Essere Universale o Sapienza divina, che risiede nello spazio centrale e da cui scaturisce il Sapere nei livelli sottostanti attraverso i canali (segmenti mediani):

  • Il quadrato intermedio è la sede del Firmamento
  • Il più esterno è il mondo terrestre
  • oltre il quadrato esterno ci sono le creature degli  inferi.

In sintesi, la concezione della TC proposta da L. Charbonneau-Lassay nell'emblematica cristiana e quella alla base del mandala/tempio indù: una rappresentazione in scala ridotta del Macrocosmo (e del Microcosmo) in cui si muovono tutte le forze in gioco. Lo spazio racchiuso dallo schema ha in sé diverse componenti che sfuggono al pensiero moderno, ma sono equiparabili a codici e simboli: le figure geometriche, la scala, i numeri e altri elementi non a tutti evidenti. Dalla letteratura emerge, inoltre, un importante aspetto: la magia usata come mezzo per vincere al gioco da tavolo, soprattutto laddove viene lasciato ai dadi il compito di decidere la sorte. Ma questa potrebbe essere sfavorevole al giocatore e quindi si ricorreva alla magia, ritenuta in grado di intervenire sulla casualità o sul destino delle Cose, a vantaggio di chi sapeva usarla. Sappiamo che per giocare a filetto i dadi non sono assolutamente necessari ma nel libro di Alfonso X il Saggio (Libro de los juegos, 1283) essi, in una delle bellissime illustrazioni miniate relative ad una partita di filetto, sono presenti. La loro introduzione fu probabilmente conseguenza dell'esigenza di vivacizzare il gioco che, in tal modo, diveniva però gioco d'azzardo (con le conseguenze del caso).

Recente è il libro "Icelandic Magic: Practical Secrets of the Northern Grimoires" di Stephen E. Flowers (Simon and Schuster, 2016), che esplora la storia della magia in Islanda attraverso traduzioni originali di racconti popolari islandesi su maghi famosi e grimori[3] leggendari, come il Galdrabók, il libro più antico e completo del suo genere. Rivela incantesimi e opere tratte direttamente dai libri magici sopravvissuti dal 16° al 20° secolo conservati presso la Biblioteca Nazionale di Reykjavík. Durante la cristianizzazione dell'Europa nel Medioevo, molti libri di magia andarono perduti quando le antiche tradizioni pagane furono soppresse. Ma in Islanda la pratica di registrare incantesimi magici nei libri è continuata in segreto per secoli, su una scala mai vista altrove. Nella parte IV del suo scritto, l’autore considera i vari incantesimi e superstizioni elencati nel Manoscritto di Kreddur che, al punto 24, dice qualcosa in merito all'argomento in esame:

“Per vincere ai giochi da tavolo (tafl): togli il cuore da un corvo, induriscilo e macinalo, poi spolveralo e strofinalo sui dadi”. In questo modo essi acquisivano un potere in grado di condurre la sorte non secondo l'abilità del giocatore ma del suo "pensiero magico", poichè l'incantesimo non ha base scientifica ma chi lo adoperava ci credeva e, come detto dal precedente relatore Giacovelli, "se pensiamo che qualcosa esista, quella cosa esiste veramente dentro di noi". E' come se i dadi venissero caricati o investiti di una energia superiore che avrebbe condotto alla vittoria (questo credeva il giocatore-mago).

I giochi non sfuggirono all’Inquisizione e alle proibizioni. Perché? Parte dei motivi per la proibizione fu che un  loro risvolto era la magia che la gente usava per garantire la vittoria, specie quando si usavano i dadi, conferendo al destino l’andamento del gioco. Il grande esperto di scacchi e altri giochi da tavolo Daniel Willard Fiske  (1831- 1904) bibliografo, linguista e scacchista statunitense, ha scritto in merito agli incantesimi occulti noti come katruvers collegati ai giochi. Essi esisterebbero ancora oggi in antiche formule magiche islandesi per consentire di vincere a Kotra (Backgammon), così come ve ne sono altri applicabili agli scacchi. Una di quelle formule è quella già descritta, che Fiske traduce più precisamente così: "Se desideri vincere al Backgammon, prendi il cuore di un corvo, asciugalo in un punto in cui il sole non splende, schiaccialo, quindi strofinalo sui dadi”. Che questi incantesimi fossero di origine pagana si può vedere dall'uso del corvo, che era l'uccello oracolare di Odino e l'eroe-dio Bran dell'antica Bretagna.

Come magia pagana, i Katruvers (incantesimi) erano proibiti dalle autorità della Chiesa, che credevano nella loro efficacia tanto quanto i loro utenti! Un uomo di nome Árni Pétursson fu bruciato vivo in presenza del Parlamento islandese, a metà del XIX secolo, per aver soddisfatto la "stregoneria": aveva confessato di aver usato i Katruvers (incantesimi) nel Backgammon.

Secondo il già citato Nigel Pennick (nel libro “Games of the Gods”, prima edizione) l'occultismo occidentale ha diverse tecniche magiche per vincere al gioco da tavolo. Una è particolarmente interessante. Il primo martedì della luna piena, nell'ora planetaria di Giove, si devono scrivere su una pergamena vergine le seguenti parole: "Non licet ponare in egarbona quia pretium sanguinis". Si procede quindi a recidere la testa di una vipera e la si mette nel mezzo dello scritto, dopo di che i quattro angoli della pergamena vengono piegati sopra la testa del rettile per finire il talismano. Se usato nei giochi, questo deve essere attaccato al braccio sinistro con un nastro di seta rosso. Un altro talismano del gioco d'azzardo prevede l'uso dell'incrocio come luogo di potere.  Una formula viene scritta su una pergamena vergine, ma al posto della testa del serpente vi viene avvolta una moneta d'argento.  Il talismano viene portato prima di mezzanotte di domenica a un incrocio, dove viene sepolta la moneta. Il mago deve battere tre volte a terra con il piede sinistro, pronunciando le parole magiche sulla pergamena e facendo il segno della croce tra ogni parola, nove in tutto. Il mago parte senza guardarsi indietro. Il giorno successivo, il mago ritorna per scavare la moneta, che viene poi portata sul tavolo da gioco come un portafortuna. I Grimori che raccomandano queste tecniche spesso ricordano al giocatore d'azzardo-mago di donare ai poveri il dieci per cento delle vincite come offerta, con la minaccia che se il precetto fosse ignorato, il mago perderà!

 

  • In conclusione possiamo dire che gli argomenti presentati in questo convegno sono stati molto interessanti, ciascuno affrontando aspetti diversi della sfera magica ma ugualmente coinvolgenti e su cui riflettere.
  • Grazie agli organizzatori e al pubblico presente


[1] Tuttavia, l'impatto della tesi era stato enorme, sia a livello accademico che sociale, tanto da venir assunta tra i "miti di fondazione" della Wicca e in genere di tutto il contemporaneo neopaganesimo (altre notizie https://it.wikipedia.org/wiki/Margaret_Murray)

[3] Un grimorio è un libro di incantesimi raccolti dagli antichi culti pagani dell'Islanda