Un altro cerchio degli Orobi Comenses

                                                                     (Adriano Gaspani)

 

Durante l’ultimo weekend dello scorso Gennaio ho tenuto un corso full-immersion dedicato ad un ristretto numero di partecipanti il cui argomento era l’Archeoastronomia dallo Spazio. Lo scopo del corso era quello di introdurre i partecipanti alle tecniche di rilievo archeoastronomico dei siti archeologici eseguito sulle immagini riprese dai satelliti artificiali che orbitano intorno alla Terra. Quando il rilievo dei siti archeologici è eseguito in remoto utilizzando le immagini riprese dai satelliti in orbita intorno alla Terra è necessario, prima di eseguire la misura degli azimut astronomici di orientazione dei manufatti presenti nel sito archeologico, applicare alcuni trattamenti alle immagini in modo da rimuovere gli effetti di deterioramento dovuti alla presenza dell’atmosfera della Terra che si frappone tra il suolo e il satellite che riprende l’immagine, georeferenziarla, georettificarla e se necessario, migliorarla in modo da incrementare la visibilità dei particolari più sfuggenti. L’appropriata analisi delle immagini da satellite permette di mettere in evidenza anche le strutture archeologiche ancora interrate fino alla profondità, nei casi maggiormente favorevoli, di alcuni metri studiando gli effetti del differente drenaggio dell’acqua piovana sulla colorazione della vegetazione. Durante le esercitazioni pratiche di image processing preparai per i corsisti una serie di vecchie immagini aeree in bianco e nero dell’area dove adesso sorge il nuovo ospedale Sant’Anna di Como, recuperate dal materiale che nel 2007 era stato utilizzato per lo studio del famoso “Grande Cerchio” di Montano Lucino. L’obbiettivo era quello di verificare le prestazioni di una serie di nuovi algoritmi di image-restoration alcuni dei quali messi a punto recentemente da me. Questi algoritmi si erano dimostrati estremamente efficaci nel recupero dell’informazione dispersa in mezzo al rumore di fondo dell’immagine. La scelta di utilizzare vecchie foto aeree era motivata proprio dall’idea didattica di utilizzare materiale di partenza di qualità scadente se paragonata a quella delle moderne immagini satellitari proprio per mettere i corsisti di fronte a materiale iconografico eterogeneo e difficile da elaborare.

 

  • Gli algoritmi di image restoration

 

Quando una scena reale viene ripresa da un dispositivo di acquisizione, tale dispositivo opera una modifica dell’immagine che la riproduce in relazione alle sue caratteristiche ottiche (la cosiddetta “funzione di trasferimento”). Se il sistema di acquisizione è una camera di ripresa montata su un satellite artificiale in orbita intorno alla Terra allora la situazione è ancora peggiore in quanto l’immagine ripresa sarà deteriorata anche a causa degli effetti dell’atmosfera terrestre. Avviene quindi che sia necessario elaborare l’immagine deteriorata in modo da rimuovere i dannosi effetti dell’atmosfera e depurarla dagli effetti dovuti al sistema di acquisizione recuperando, nei limiti del possibile almeno una buona stima dell’immagine originale corrispondente alla scena reale. L’insieme delle tecniche operative che permettono di raggiungere questo scopo si chiama “image restoration”. Dal punto di vista pratico se il primo problema non è difficile da risolvere, il secondo invece presenta tutta una serie di difficoltà, prima fra tutte quella della conoscenza rigorosa della funzione di trasferimento del sistema di acquisizione. Senza entrare nei dettagli tecnici, erano disponibili alcune immagini in bianco e nero riprese da un aereo in epoca imprecisata, ma comunque verso la fine degli anni ’50 del ‘900, e utilizzando una camera di ripresa attualmente completamente sconosciuta. Per queste e altre ragioni tali immagini rappresentavano del materiale molto utile per delle esercitazioni di image processing.

 

Segmento della vecchia immagine aerea, presumibilmente risalente alla fine degli anni ’50 del Novecento oppure ai primi anni ’60 dello stesso secolo, che ritrae l’area immediatamente a sud-ovest rispetto alla posizione del Grande Cerchio di Montano Lucino

 

Dopo aver rimosso gli effetti dell’atmosfera terrestre mediante un algoritmo di deconvoluzione della funzione risposta all’impulso tipica della turbolenza atmosferica nelle tre bande di colore R,G,B, l’immagine è stata fornita in input all’algoritmo iterativo il quale esegue miglioramenti successivi restaurando progressivamente i particolari fini confinati nelle alte frequenze spaziali, discriminando tra il contributo genuino del segnale e quello dannoso dovuto al rumore di fondo e quindi dai disturbi. La mia sorpresa (e non solo la mia…) è stata quella di veder gradualmente emergere dalle immagini migliorate, durante i successivi stadi di elaborazione, di una grande quantità di particolari, invisibili sull’immagine di partenza, tra i quali una struttura circolare molto regolare con all’interno un rilevante numero di particolari degni di interesse, i quali dal punto di vista archeologico avrebbero potuto corrispondere a strutture o manufatti attualmente sepolti.

 

Immagine pancromatica dell’area circostante il “Grande Cerchio” (visibile in alto) ripresa il 4 Maggio 2008 dal satellite GeoEye (quota equivalente di ripresa 1110 metri) dopo il processo di depurazione dagli effetti dell’atmosfera terrestre. A quel tempo il nuovo ospedale Sant’Anna di Como non era ancora stato terminato

 

  • Il riconoscimento delle strutture archeologiche sepolte

 

Le immagini da satellite ritraggono la superficie della Terra. Nelle aree non urbanizzate è ancora presente la vegetazione il cui tasso di crescita dipende dal drenaggio dell’acqua piovana da parte del terreno su cui è radicata. Migliore è il drenaggio idrico e maggiormente rigogliosa è la crescita della vegetazione; dove invece il drenaggio è insufficiente a causa di strutture archeologiche sepolte, la vegetazione cresce meno rigogliosa. Il differente tasso di crescita produce aree di differente colorazione della vegetazione e, soprattutto durante i periodi di siccità, la colorazione della vegetazione meno provvista di terra umida sottostante è marcatamente più chiara. In questo modo le immagini da satellite rivelano la presenza di strutture archeologiche interrate e spesso anche il loro profilo sul territorio. Studiando la variazione di colore della vegetazione è spesso possibile discriminare tra le differenti tipologie delle strutture archeologiche sepolte.

 

Il riconoscimento delle strutture archeologiche sepolte è possibile sfruttando il loro effetto sul grado di drenaggio dell’acqua piovana che a sua volta si rilette sul tasso di crescita della vegetazione e sul suo colore. Nel caso A abbiamo la presenza di una struttura archeologica sepolta, quindi il drenaggio idrico è scarso provocando un minor tasso di crescita della vegetazione, evidenziato nello scema C. Nel caso B invece la presenza di un antico fossato sottostante produce un drenaggio maggiore rispetto alla media dell’area circostante e allora si verificherà una crescita più rigogliosa della vegetazione, evidenziato nella schema D. Nei periodi di ridotta piovosità la vegetazione soprastante la struttura muraria dei casi A e C assumerà un colore più chiaro rispetto all’area circostante, mentre nei casi B e D, la colorazione della vegetazione posta sopra il fossato sepolto sarà più scura rispetto a quello dell’area circostante. In questo modo esaminando le immagini da satellite è possibile discriminare anche sulla tipologia delle strutture archeologiche interrate.

 

Una volta che la traccia delle strutture archeologiche sepolte è stata evidenziata e la colorazione ci fornisce una indicazione di massima della loro natura, allora dopo aver provveduto a migliorare l’immagine utilizzando gli algoritmi appropriati è possibile costruire i profili dei livelli di grigio o di colore in modo da riconoscere, sulla base dell’andamento del profilo, la natura del manufatto sepolto.

 

Profilo trasversale di un’area di terreno in cui è presente un fossato sepolto. La discontinuità nel colore della vegetazione dovuta alla sua differente varietà locale è visibile come un’oscillazione intorno ad un valore medio dell’ordine dei DN(grigio) = 105 unità, mentre la vegetazione che cresce sopra un fossato sepolto scende fino ad un valore medio DN(grigio) = 20.

 

Profilo trasversale di un’area di terreno in cui è presente una struttura muraria sepolta. La discontinuità di colore della vegetazione dovuta alla sua differente varietà locale corrisponde ad un’oscillazione intorno ad un valore medio di DN(grigio) = 60 unità, mentre la presenza della struttura muraria a qualche metro di profondità corrisponde ad un aumento di luminosità locale fino a circa DN(grigio) = 240 unità.

 

  • La nuova struttura circolare

 

Torniamo ora al manufatto circolare oggetto del presente studio. L’algoritmo iterativo di image restoration ha mostrato molto chiaramente non solo la struttura circolare esterna, ma anche una possibile struttura circolare interna di dimensioni minori. Il diametro del cerchio esterno è dell’ordine dei 60 metri, mentre il cerchio interno è caratterizzato da un diametro dell’ordine di 30 metri.
Le sue coordinate geografiche, riferite al Datum WGS84 sono:

λ = 45° 47’ 24” N
φ = 9° 02’ 39” E
quota = 327 metri

 

Immagine ingrandita e restituita dall’algoritmo iterativo di image restoration che mostra chiaramente non solo la struttura circolare esterna, ma anche una possibile struttura circolare interna di dimensioni minori. Il diametro del cerchio esterno è dell’ordine dei 60 metri, mentre il cerchio interno è caratterizzato da un diametro dell’ordine di 30 metri.

 

Lo stesso algoritmo di image restoration oltre ad aver messo chiaramente in evidenza due strutture circolari, una interna e una esterna, ha rivelato la traccia di quattro manufatti allineati. Misurando il profilo trasversale dell’immagine e i corrispondenti livelli di grigio, è risultato chiaramente che si tratta degli effetti di drenaggio idrico corrispondenti a strutture, probabilmente litiche (menhirs?) interrate a profondità relativamente ridotta.
Attualmente l’analisi e l’elaborazione di una grande quantità di immagini satellitari e aeree dell’area è in corso al fine di evidenziare il maggior numero di particolari e di ricostruire in maniera più sicura la morfologia dell’importante manufatto.

 

Misura del profilo trasversale del manufatto circolare teso a mettere in evidenza l’esistenza al suo interno di anomalie ascrivibili a manufatti. In particolare si nota la presenza della traccia di quattro manufatti allineati pressoché equidistanti che potrebbero essere oggetti litici. Il diagramma in alto a sinistra mostra l’andamento del profilo di intensità lungo la linea tracciata nell’immagine. Si vede chiaramente la presenza dei quattro picchi corrispondenti ai manufatti sepolti ed ai due minimi corrispondenti alla sezione del terrapieno circolare.

 

  • Il recupero delle informazioni termiche

 

Spesso, ma non sempre, nelle immagini pancromatiche ottenute con rilevatori CCD a colori, come quelli utilizzati nelle fotocamere dei moderni telefoni cellulari, nella curva di sensibilità del chip esiste una coda che si estende un poco nell’infrarosso. Le informazioni contenute in questa ridotta coda possono, nei casi favorevoli, essere separate mediante appropriati algoritmi di filtraggio digitale. Quando questo avviene è possibile ottenere l’immagine corrispondente solamente (o in maggior parte) all’emissione infrarossa della scena che viene ripresa. Quando ciò è possibile si ottiene una sorta di mappa termica della scena nella quale le differenti componenti della scala di grigio possono essere messi in relazione all’emissione termica e quindi approssimativamente alla temperatura delle varie componenti della scena ripresa. Generalmente il colore chiaro indica una maggiore emissione termica e quello scuro una minore. Uno di questi algoritmi è stato applicato ad un segmento di immagine satellitare ripresa dal satellite GeoEye il 22 Marzo 2013 mettendo in evidenza alcune anomalie corrispondenti alla distribuzione delle acque sotterranee di drenaggio nell’area dove si trova il nuovo cerchio oggetto di questo studio. In questo caso la geometria del manufatto circolare non è evidenziabile poiché noncorrisponde alla geometria dell’emissione termica, ma la presenza di ristagni di acqua sotterranea indica chiaramente l’esistenza di alcune strutture che la provocano.

 

Immagine della porzione di territorio in cui è posto il nuovo cerchio ottenuta recuperando ed isolando il contributo dell’infrarosso da un’immagine ripresa il 22 Marzo 2013 dal satellite GeoEye. Si notano i solchi delle arature di origine agricola che si sovrappongono ad un’anomalia termica corrispondente all’accumulo di acqua fredda nel sottosuolo. In questo caso il profilo circolare non è distintamente visibile in quanto la sua geometria non corrisponde esattamente ad un’anomalia termica.

 

  • Il modello ricostruttivo

 

Sulla base di quanto risultato dall’elaborazione delle immagini digitali è stato ottenuto un semplicissimo (per forza di cose) modello di come potrebbe essere la morfologia del manufatto sepolto, limitandosi solamente agli elementi di maggiore dimensione e trascurando i particolari più minuti che comunque le immagini digitali elaborate mostrano, ma che è difficile discriminarle dal rumore di fondo e dagli eventuali artefatti dovuti agli algoritmi di image restoration i quali hanno tutti la caratteristica di richiedere l’applicazione di criteri spesso di tipo euristico per stabilire quando terminare il ciclo iterativo.

 

Semplicissimo modello ricostruttivo della struttura del nuovo cerchio con il cerchio interno e le quattro anomalie interne allineate. Il disegno non è orientato secondo le direzioni cardinali astronomiche.

 

  • Conclusione

 

In questo lavoro preliminare è stato messo in evidenza che il famoso Grande Cerchio degli Orobi Comenses, con grande probabilità, non è unico. A poca distanza da esso, verso sudovest, le vecchie immagini aeree e quelle satellitari moderne opportunamente elaborate con gli algoritmi di image restoration spesso derivati dalla ricerca spaziale ed astrofisica, mostrano la probabile presenza di una altro manufatto circolare ancora sepolto, che dalle prime ispezioni locali sul territorio, sembrerebbe essere sperimentalmente confermato. In questo articolo, volutamente, non sono stati forniti i dettagli matematici dei vari algoritmi utilizzati e della loro teoria, per non appesantire la lettura in quanto molto di questo materiale è maneggiabile dagli addetti ai lavori. Nella bibliografia ho comunque indicato alcuni testi di riferimento per lettore curioso e “smanettone”. Ovviamente per avere la certezza assoluta è necessario attendere i risultati degli scavi archeologici che si auspica non debbano attendere molto tempo.

 

  • BIBLIOGRAFIA

 

Gonzales R. C., Woods R. E., 2008, “Elaborazione delle immagini digitali”, ed Pearson-Prentice Hall, (edizione in lingua italiana)
Pratt W. K., 1991, “Digital Image Processing”, John Wiley & Sons Inc., New York
Teuber J. , 1989, “Digital Image Processing”, Prentice Hall, New York
White R. L., Allen R. J., (Ed.), 1990, “The restoration of HST images and Spectra“ Vol. I. Hubble Space Science Institute, Baltimora, and NASA
Hanish R. J., White R. L., (Ed.), 1993, “The restoration of HST images and Spectra“ Vol. II. Hubble Space Science Institute, Baltimora, and NASA

 

(Autore: Adriano Gaspani I.N.A.F. - Istituto Nazionale di Astrofisica, Osservatorio Astronomico di Brera - Milano adriano.gaspani@brera.inaf.it)

Argomento: Un altro cerchio degli Orobi Comenses

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Un altro cerchio degli Orobi Comenses

Franco Prada | 11.08.2017

Trovo assai interessante l'essere riuscito a tradurre le vecchie immagini del 2007 in altre decisamente intellegibili. Una nuova tecnica capace di aprire grandi orizzonti in ambito archeologico. Riguardo le immagini pubblicate nel presente articolo noto alcuni aspetti che non mi tornano. In una immagine elaborata si vedono quattro punti rossi disposti a poligono, mentre in altra ricostruzione si teorizzano allineati. Una immagine mostra la presenza di un cerchio più piccolo all'interno del grande ma, in quella elaborata non ve n'è traccia. Ma quanti sono i manufatti in questione ?

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